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Immagine del redattoreAngolo Fotografia

Tra genio e follia: Francesca Woodman

di Arianna Consorte //


Disordered Interior Geometries. Questo è il titolo dell’unico progetto portato a termine da Francesca Woodman durante la sua breve ma intensa vita. Esemplificativo del suo concetto di fotografia, esso unisce la ricerca di una interiorità disordinata espressa dai corpi – in particolare dal suo – con la geometria circostante, che denota e caratterizza tutta la sua vita, in quanto studentessa di design.


Procediamo per gradi. Francesca, nata nel 1958, è considerata una delle fotografe più incisive del secolo scorso per essersi collocata nel solco delle correnti artistiche trans-avanguardistiche con forti contaminazioni dal Surrealismo. Volendo ricostruire i punti salienti della sua formazione, nacque figlia d’arte e visse sia a Firenze sia a Roma, dove completò gli studi di design ed ebbe modo diretto di avvicinarsi all’arte classica, in particolare alla statuaria, per poi tornare nel suo continente d’origine e vivere gli ultimi anni della sua vita a New York. Proprio qui, la sua personalità rimase a tal punto succube dei ritmi frenetici, competitivi, spietati della Grande Mela da rimanerne vittima: a soli 22 anni, decise di togliersi la vita gettandosi da un palazzo.

Conoscere la biografia di questa artista è fondamentale per comprendere la sua persona e le scelte che fece, oltre che per valutare il suo operato.


«Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate».


Nonostante la sua breve vita, realizzò diecimila negativi di cui effettuò circa ottocento stampe di soli autoritratti, senza titolo e accompagnate solo da data e luogo; si tratta perlopiù di doppie o lunghe esposizioni.

Esse catturano il rapporto che Francesca intratteneva con l’ambiente circostante in tema di sessualità, di visione e consapevolezza del proprio corpo, fugace effimero soffuso. Effettivamente, potrebbero risultarci quasi un grido di allarme, un bisogno di comunicazione, un tentativo di adattarsi allo spazio ostile; status che noi giovani, suoi coetanei, possiamo perfettamente comprendere a causa del nostro continuo affanno nel cercare un posto nel mondo che ci corrisponda, nonché una precisa e definita identità.

Non è quindi una analisi esteriore, quanto un’analisi interiore che rivela un forte senso di alienazione e di isolamento nelle ambientazioni delle fotografie, generalmente luoghi desolati e scarni. Proprio nel tentativo di affermarsi nello spazio come presenza – o come assenza – lascia un segno indelebile, pur nella sua fugacità.


I suoi vettori di comunicazione furono, oltre che le fotografie, anche dei brevi video realizzati in VTR in cui poneva a confronto il proprio corpo con quello delle antiche statue classiche, spesso cospargendosi di vernice bianca.


Riprendendo però la sua unica opera realizzata, Disordered Interior Geometries è ricavata da un libro italiano di esercizi di geometria di ventiquattro pagine su cui Francesca appose le

sue foto corredate di pensieri scritti a mano, correggendo le pagine originali con l’aiuto di un bianchetto. Potremmo quasi accostarlo a uno Zibaldone fotografico dato che Francesca, proprio come Leopardi, metteva a nudo la propria anima in un quaderno di esercizi e di pensieri, una sorta di diario personale. Il libro originale aveva una copertina tendente al colore lilla o rosa, lasciata invariata, ma che svelava all’interno cromie unicamente bianche, nere o grigie. Questo contrasto tra colori esterni e colori interiori così come quello tra geometrie, dure e invasive, s’infrange contro le morbidezze della nudità e le caducità delle curve dei corpi evanescenti, quasi trasparenti.


Il volumetto ebbe reazioni disparate; alcuni lo definirono bizzarro, in quanto appariva come «un miasma apparentemente squilibrato, di formule matematiche e autoritratti, scarabocchiato, strappato, scritto a mano».

Claire Raymond, critica e autrice di Francesca Woodman and the Kantian Sublime, interpreta l’opera di Francesca come significativa della lotta dell’artista femminile nella rivendicazione dell’autorità artistica: utilizzando un testo di esercizi da studenti come libro d’artista, Francesca espone la difficoltà della donna di imporsi come artista piuttosto che come una semplice neofita.


Come possiamo noi interpretare l’opera di Francesca? Potremmo vedere il suo lascito come un esteriorizzare la propria anima tramite l’autoritratto, mezzo tanto difficile quanto significativo per il disvelamento e l’imposizione di sé come artista e persona contemporaneamente. Ma è anche, appunto, una manifestazione chiara della sua malattia, la depressione, che percepiamo nelle figure mutevoli e indistinte del corpo e dell’anima la quale disperatamente cerca di raggiungere e afferrare la sua voce in un mondo così caotico, e insieme così distaccato, freddo, austero, geometrico.


Se volete approfondire il tema “Autoritratto”, vi invitiamo a leggere l’articolo di AngoloGiro dello scorso 14 aprile: https://angologiroofficial.wixsite.com/home/post/l-autoritratto-osservarsi-attraverso-una-lente


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