top of page
  • Immagine del redattoreAngoloGiro

Violenza di genere: eccezione o sistematicità?

Aggiornamento: 6 feb 2021

di Veronica Zancarli //


«Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome». Con questa semplice ma radicale esortazione, Rosa Luxemburg ci ricorda che ancora oggi abbiamo bisogno di comprendere la realtà a partire da una sfida culturale, attraverso un linguaggio nuovo capace di usare le parole con la giusta cura. La verità è rivoluzionaria, anche quando si parla di «violenza di genere». Volgendo un occhio critico alla restituzione mediatica e quotidiana della violenza contro le donne, è ora di sradicare ogni tipo di narrazione tossica, talmente comune da sembrarci l’unica possibile, espressione di un sistema di valori che giustifica, alimenta o favorisce la violenza maschile contro le donne.


Per riformulare il discorso narrativo della violenza di genere, dobbiamo innanzitutto discostarci dalle versioni distorte e pericolose proposte dai media, che si concentrano sull’eccezionalità dell’accaduto e sulle ipotesi di cause che possano spiegare il gesto violento, per renderlo accettabile in quanto ovvia conseguenza del contesto in cui è successo. Confinando la violenza di genere entro scenari episodici e deliranti, le narrazioni mediatiche normalizzano e assolvono la violenza: rappresentano gli uomini che agiscono violenza come pazzi, individui “mostrificati”, esseri umani fragili e innamorati, riducendo l’accaduto a circostanze tragiche e isolate.

Corriere Torino, 25 gennaio 2020

Tuttavia, la realtà non è questa: al contrario, definire la violenza di genere vuol dire fare luce sulla sistematicità del problema. Figlia sana del patriarcato, frutto della cultura e dell’educazione eterosessista, essa comprende un insieme eterogeneo di forme di violenza fisica, sessuale o psicologica, agite contro le donne perché appartenenti al genere femminile. Non è un evento occasionale ma un fenomeno socioculturale e strutturale tanto costante quanto preoccupante, che avviene in contesti domestici e professionali, privati e pubblici, con maltrattamenti, minacce, stalking, stupri e femminicidi.


Come suggeriscono Giomi e Magaraggia nel libro Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale, in ambito sociologico sono due le grandi correnti di pensiero in cui si polarizzano le motivazioni alla base della violenza maschile contro le donne. Da una parte, è associata all’insufficiente potere femminile: in quanto espressione del patriarcato, è attribuibile ad un maschile dominante che si sente autorizzato ad agire violenza contro le donne poiché le ritiene subumane, prive di agency e potere. Dall’altra, è invece collegata ad un eccessivo potere delle donne: riconducibile alla crisi del patriarcato, è una manifestazione della paura nei confronti di un femminile che rifiuta la subordinazione; una reazione violenta alla libertà delle donne che decidono di sfidare l’ordine patriarcale e di non sottostare più alle regole di chi è convinto di detenere, per natura, una posizione di potere.


Tra le due spiegazioni c’è uno specifico tratto comune: la violenza è in ogni caso connessa alle aspettative di genere ed esercitata dall’uomo, cioè colui che è stato socializzato secondo l’ideale del “vero uomo” duro, che si fa rispettare, e non chiede mai, anzi decide, controlla e, se necessario, agisce violenza. Tutto il resto non è uomo. Tutto il resto è femminile, debole, emotivo, disprezzabile, secondario.


Avvalendosi di questi modelli stereotipati di essere uomo o donna, nella cultura popolare sono tre le rappresentazioni discorsive con cui avviene questo processo di normalizzazione della violenza di genere. Con la naturalizzazione, viene presentata come condotta costitutiva del maschile, espressione di un istinto naturale a cui sarebbe portato per ragioni fisiologiche. Secondo questa costruzione, l’uomo è maschio perché è violento ed è violento perché è maschio. Con la romanticizzazione, si rafforza la cosiddetta “ideologia dell’amore romantico”, che giustifica o celebra l’azione dell’uomo in quanto espressione di una passione intensa e intende la donna come una vittima volontaria per amore e devozione all’altro. Con l’estetizzazione, infine, la violenza contro le donne viene trasformata in uno spettacolo godibile e addirittura glamour, dove la sofferenza femminile è un’opera d’arte erotica per lo spettatore maschio ed eterosessuale. Anche nell’atto violento o dopo la morte, la donna rimane bella, seducente, talvolta consenziente della violenza che, in questo modo, viene spettacolarizzata e incoraggiata.


Ecco un esempio di campagna pubblicitaria di Lanvin Paris, in cui la donna è cadaverica, con l'incarnato bianco, gli occhi sbarrati e le labbra rosso sangue, eppure anche da morta rimane bella ed elegante, piacevole all'occhio di chi la guarda.

Esempio di campagna pubblicitaria di Lanvin Paris, in cui la donna è cadaverica, con l'incarnato bianco, gli occhi sbarrati e le labbra rosso sangue, eppure anche da morta rimane bella ed elegante, piacevole all'occhio di chi la guarda

Con queste narrazioni eterodirezionate, sessiste e alterate della violenza sulle donne, nei servizi del TG e nelle pubblicità, nelle serie tv e nei testi musicali, i media e l’industria culturale contribuiscono a deresponsabilizzare l’uomo e a colpevolizzare la donna con il victim blaiming e lo slut shaming, spostando l’attenzione sullo stato psicologico, sugli atteggiamenti o sull’abbigliamento delle vittime, provocanti, con vestiti scollati, con gonne troppo corte, sotto l’effetto di droghe o sostanze che renderebbero la violenza prevedibile.


A partire dalla costruzione socioculturale di uomo e donna, il patriarcato ha sistematicamente istituito la subordinazione femminile e promosso la violenza di genere. Tanto nei media quanto nella vita quotidiana abbiamo il dovere morale di decostruire le forme di dominio della maschilità tossica e utilizzare discorsi volti a mettere in discussione piuttosto che rinforzare le norme culturali e sociali che costituiscono il nostro ordine di genere, scardinando le definizioni binarie e riprendendoci la complessità che ci appartiene. Con parole vere, possiamo iniziare a raccontare, immaginare e costruire nuovi mondi, in cui l’uguaglianza di genere sia l’inizio per un mondo giusto, inclusivo, gentile. La cultura non è violenta. Ma può essere rivoluzionaria.



296 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page