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Uomini contro il patriarcato

di Elena Rega //


Cari maschi, siamo sicuri che il rosa sia “da femminucce”?


La storia di questo colore inizia nel campo dello sport. Ebbene sì, il rosa in passato era stato scelto come simbolo della virilità e del valore agonistico maschile: non a caso, il vincitore del Giro d’Italia porta una maglia rosa! Oggi, invece, appare normale appendere alla porta un fiocco di questo colore per segnalare la nascita di una bambina.


L’azzurro e il rosa sono stati selezionati come simboli dei due sessi all'inizio degli anni’40 dalle aziende d’abbigliamento attuando la distinzione in base al genere d’appartenenza. Per i maschi non è una propensione naturale acquistare un capo blu piuttosto che rosa, ma se un ragazzo predilige il secondo colore viene etichettato come omosessuale. Eppure, il grande Jay Gatsby – uno dei personaggi più eleganti della letteratura di inizio Novecento – si presenta ad un pranzo con un vestito di seta rosa.



Come possiamo slegarci da questi e altri stereotipi per essere semplicemente noi stessi?


La questione è molto più dura di quanto si immagini, soprattutto per un uomo. A raccontare tale difficoltà è Lorenzo Gasparrini – attivista antisessista e dottore di ricerca in Estetica – con il libro “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni” pubblicato da Settenove, la prima casa editrice italiana dedicata alla discriminazione e alla violenza di genere. L’autore ci descrive la vita di un uomo a partire dalla sua infanzia fino all’età adulta con lo scopo di dimostrare come ogni persona viva in una realtà patriarcale che predilige il maschio etero, conferendogli dei vantaggi sociali ma castrandolo in un mondo di virilità e machismo.


Secondo Gasparrini, i bambini e le bambine incontrano da subito casi di potere espresso con la violenza a partire dai contesti famigliari. Nelle discussioni in casa, per esempio, si usa spesso la dinamica del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”: questo semplice e banale gioco di ruoli va ad istituire una gerarchia di potere nella quale il padre, come uomo, viene posto al di sopra della madre, come donna.


Si fanno distinzioni anche nei giochi: i maschi verranno indirizzati verso il contatto fisico e la forza, mentre per le femmine la scelta ricadrà su attività fisiche che non intaccano il concetto di grazia associato al corpo di una ragazza.


Su questo argomento l’autore è molto chiaro: «Deviare un desiderio è una forma di violenza, e spingere una bambina verso la danza invece che verso il judo o un bambino al calcio invece che al pattinaggio artistico – quando queste scelte sono dettate da pregiudizi – sono violenze».


Per le ragazze sembra quasi più facile opporsi al sistema, data la storia femminista che si ha alle spalle, mentre la maggior parte dei ragazzi rimane incastrata in questo ruolo: dall'età adolescenziale devono aderire al modello machista che vede come suo unico pari il maschio eterosessuale. Così il rapporto con l’altro genere diviene complicato, specialmente in tema di sesso:


«Come raccontato da molti adolescenti maschi in tante interviste, il sesso è vissuto esattamente come viene visto non solo nei porno commerciali, ma anche in tanti altri media: conquista, possesso, “naturale” premio al maschio dominante o vincitore».


La pornografia commerciale – essendo uno dei prodotti della cultura patriarcale – inscena un abuso di potere da parte dell’uomo, che dispone della donna come di un proprio oggetto. Invece di andare alla scoperta reciproca, ci si fossilizza su ciò che già si apprende nei media e il sesso si trasforma in una «sofisticata masturbazione» per l’uomo.

La vita di ogni uomo eterosessuale è intrisa di sessismo e di violenza verso altri generi e orientamenti sessuali per difendere quella “normalità” che coincide con ciò che gli è stato impartito. Esiste, invece, una valida alterativa a tutto questo: per uscire dalla veste di alpha che gli è stata cucita addosso, deve diventare un «disertore del patriarcato», come l’autore è stato simpaticamente soprannominato da una sua amica.


Bisogna, quindi, «battersi per una autodeterminazione maschile non sessista […], per quegli uomini che vogliono uscire da quella normalità, violenta anche contro di loro, che si chiama patriarcato».



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