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Un nome, un suono, un logo: lo Swoosh

di Camilla Lantieri //


Una delle questioni principali che ruotano attorno alla progettazione di un logo è sicuramente la sua riconoscibilità e quanto esso possa essere memorabile. Due caratteristiche decisamente rilevanti che garantiscono il successo o l’insuccesso di un brand.


Chi non riconoscerebbe il seguente simbolo?

Sarebbe più opportuno definirlo pittogramma – uno dei più noti al mondo – si potrebbe aggiungere. Stiamo parlando del marchio Nike, un impero mastodontico rappresentato da un segno estremamente sintetico ma, proprio per questo, efficace.


Bisogna, però, fare un passo indietro e partire da ciò che consentì la nascita di questa identità. Era il 1971 quando Phil Knight, co-fondatore della Blue Ribbon Sports, commissionò a Carolyn Davidson – giovane studentessa di arte dell’Università di Portland – lo studio di un messaggio vincente che avrebbe dovuto valorizzare il modello Nike di scarpe da calcio prodotte dall’azienda. La giovane si cimentò nell’ideazione di alcune bozze di loghi con l’intento di avvicinarsi il più possibile ai requisiti richiesti; ne produsse una decina, tra i quali Knight scelse «il meno peggio» che pagò circa 35 dollari. Sei anni dopo la Blue Ribbon Sports venne rinominata Nike (la cui pronuncia è in realtà “Naiki”) divenendo, in breve, un colosso nell’ambito delle calzature sportive.

Risulta alquanto paradossale accostare al noto marchio Nike una nascita così in sordina, a causa di un’ingiusta banalizzazione dell’oltremodo eccellente lavoro della giovane Davidson. È interessante, a questo punto, analizzare e rintracciare il concept iniziale che è alla base di un progetto del genere. Il pittogramma mondialmente noto è intitolato Swoosh, un nome insolito di cui, però, è possibile cogliere l’esattezza semplicemente pensando al messaggio che esso trasmette: le scarpe sportive Nike consentono agli atleti di sfrecciare comodamente durante una corsa. La velocità è ciò che lo Swoosh esprime: da una parte un suono onomatopeico, che ricorda il fruscio dell’aria che fa attrito con la nostra pelle quando corriamo; dall’altra, un segno visivo per rappresentare un elemento che, sfrecciando, si lascia dietro una scia.

Sono state, in realtà, proposte anche delle interpretazioni relative al richiamo della Nike di Samotracia proprio nel nome del brand, confermato inoltre dal pittogramma che – in tal caso – potrebbe ricordare sia l’ala della dea, sia la “V”, simbolo della vittoria, di cui la Nike è la personificazione. In ogni caso, la velocità rimane elemento significativo poiché rintracciabile nella statua della divinità dall’aspetto dinamico.


Dunque, considerando questi molteplici significati, si può affermare che la vittoria di questo brand vada sicuramente ricondotta – in buona parte – all’efficace essenzialità di un logo che non tramonterà mai.

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