top of page
  • Immagine del redattoreAngolo Design

Il valore affettivo delle cose: l’usa e getta

di Francesca Rimoldi //


«Tutto è cominciato con l’idea moderna che ogni oggetto fosse riducibile a un apparato funzionale: una protesi la cui qualità stava nello svolgere una determinata funzione nel modo più efficace e rapido. […] Esso, evolvendo nell’usa e getta, non è più percepito come un oggetto in senso proprio ma come una sorta di momentanea materializzazione della funzione che svolge (un sacchetto o una bottiglia di plastica esistono solo nel momento in cui svolgono la loro funzione. Al di là di questo sono rifiuti)».


L’italiano Ezio Manzini, uno dei maggiori studiosi mondiali di design per la sostenibilità, si esprime così sul fenomeno protagonista di questo secolo. L’usa e getta, conseguenza del meccanismo sociale che si fonda sulla moltiplicazione incessante delle merci, connota tutti quegli oggetti monouso che, in quanto particolarmente economici, si preferisce buttare via dopo un singolo uso, piuttosto che impiegare ulteriore tempo per la loro manutenzione.

Si tratta di un argomento tanto vasto da andare al di là del mero oggetto di carta, plastica o vetro e includere anche il mondo del packaging e delle apparecchiature tecnologiche e di lusso: è il caso di un prodotto di cui viene progettata la data di inizio e quella di fine vita, tracciandone la scia della fantomatica obsolescenza programmata.


Il mondo dell’industria si muove nella logica del progetto (produzione, vendita e consumo); il sistema produttivo, nell’urgenza di mantenere elevata la domanda di beni, agisce sulla riduzione del fattore durata favorendone la sostituzione. Si tratta di un fenomeno che, come gli oggetti di industrial design, deve affidarsi alle caratteristiche di disegno, estetica e storia (da collezione). Per questo la durata dei prodotti non coincide più con la sua loro effettività, bensì con il tempo di utilizzo; il suddetto binomio varia in base alla tipologia di prodotto e al luogo: ad esempio, le automobili durano mediamente 10 anni nei paesi ricchi, 35 in quelli del terzo mondo.


Molti sono i problemi dell’universo artificiale dell’usa e getta; Renato De Fusco, nella sua analisi, concentra in quattro punti la sua avversione al tema: assenza di qualità, spreco di risorse naturali, forte incremento dei rifiuti, impossibilità pressochè totale di distruggere i residui senza danno ecologico. Vi è un alto contributo all’aumento dell’inquinamento fisico ed etico del paese: il successo dell’usa e getta è dato anche dalla disaffezione e dal rifiuto di molte persone verso la conservazione di qualcosa che faccia pensare e ricordare. Le sue radici hanno perciò carattere psicologico e antropologico; l’uomo non si è mai adattato all’ambiente in cui vive, ma ha sempre cercato di adattare l’ambiente a sé stesso e alle sue esigenze.


D’altro canto, alcuni si concentrano anche sulla piccola percentuale di aspetti positivi (nel mare dei contro) di questo sistema: si pensi ai prodotti relativi al campo chirurgico, medico e igienico o al costo ridotto e adatto ad un’ampia fetta di mercato, perché non richiede soldi e tempo aggiuntivo alla sua cura. In sintesi, un prodotto adeguato alla nuova vita “nomade” della modernità.


Tra aspetti giusti e sbagliati, il punto nevralgico di questo sistema rimane l’ormai obsoleta ed errata concezione del consumismo, radicato da anni tra le caratteristiche economiche e culturali di una società che, sempre e comunque, non si ferma mai a pensare.

153 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page