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Studenica - Un'oasi di arte e fede

Aggiornamento: 16 mag 2021

di Carla Di Renzo //


Una terra di passaggio, un punto d’incontro, una frizione di civiltà a volte feconda, altre tormentata.

Una bellezza rigorosa di cui la storia si fa testimone, fiero focolaio del popolo serbo. Nelle vicende balbuzienti e frammentarie che coinvolgono la nazione, culla di entità politiche indipendenti, i complessi monumentali sono un segno di sopravvivenza, un emblema “materiale” di gesta antiche e glorie passate, di resistenza, di un’identità che spesso ha vacillato, cadendo nell’oblio, nella paura, nel silenzio.

L’arte, dunque, divenne uno strumento per poter cementare la memoria di un territorio, mosso da lotte intestine che hanno minato il saldo orgoglio patriottico. Numerose sono state le tragiche avventure (o meglio dire disavventure) belliche, che hanno “spogliato” l’identità nazionale ai danni di un’unitaria consapevolezza e che spesso hanno reso miope la nostra conoscenza di una civiltà ricca ed essenziale sul crinale tra Occidente e Oriente. Per non lasciar che il silenzio trionfi, sarebbe opportuno valicare i confini culturali e mitigare le differenze che hanno creato incomunicabilità e incomprensione, privandoci di un tassello importante nel fluido mosaico della storia. Un cammino nel quale l’identificazione di un passato condiviso lascerà oltrepassare l'ostacolo della diffidenza e dell’ignoranza, che sono mutate in insormontabili muri sociali e politici.

Nella costellazione di monasteri che si dispongono lungo le valli della Sveta Gora, a raccontare della condivisione di uno “spazio comune” tra Oriente e Occidente è Studenica, edificio sorto tra il 1183 e il 1196 per volontà del Grand Župan (Grande Sovrano), in cui elementi autoctoni e di ascendenza bizantina cedono il passo a eleganti ingerenze di provenienza romanica. Il giovane Regno di Serbia, all’epoca manchevole di una capitale stabile, fece rivestire la funzione di centro politico, culturale e sociale ai monasteri e alle Chiese episcopali che, come una fotografia, catturano la memoria di una realtà storica oggi disgregata. In questo fluido contesto, la voce della dinastia serba dei Nemanjići si erge solenne sul proscenio e concede un nuovo status indipendentistico al paese nei confronti delle potenze limitrofe, ponendo le basi per la nascita di uno “Stato”, la cui importanza crebbe e influenzò significativamente lo scenario balcanico sul finire del XII secolo.

Ed è proprio il monastero di Studenica che diviene il simbolo di questo programma patriottico e testimonia il veemente dialogo tra le due sponde dell’Adriatico. Il complesso monastico sorge lungo la Valle dei Re, che all’epoca era chiamata “pusto lovište zverova” (“terra di caccia e deserto per bestie”), dal primogenito dello Župan, Stefan Prvovenčani. Sebbene si creda che il corpo di fabbrica fosse composto da ben quattordici chiese, oggi ad accoglierci troviamo la Chiesa della Madre di Dio (Bogorodična crkva), la Chiesa di San Nikola e la Chiesa Reale. A sorprendere per l’imponenza che si fregia di arte è il Catholicon sorto nel XII secolo e dedicato alla Madre di Dio benefattrice (Evergetida). È una basilica a navata unica con una cupola e vestiboli sui lati sud e nord, estesa sul lato ovest da un nartece. Gli storici dell'arte sottolineano l'uniformità della sua architettura, della plastica scultorea e dei dipinti murali, che nell’insieme creano un piacevole panorama estetico, eleggendo questa chiesa a modello per la costruzione non solo della Serbia dei Nemanjici, bensì dell'intera Sveta Gora (Sacro Monte).

La Chiesa della Madre di Dio ci accoglie con le "porte del paradiso", sopra le quali Cristo benedice tutti coloro che entrano nel tempio dal grande nartece, commissionato dal re Radoslav. I gradini del tempio rappresentano la via per la “Gerusalemme celeste”, sulla quale non s'incontrano ostacoli, perché Gesù attende a braccia aperte sull’altare. Oltre all'architettura e agli affreschi che parlano una lingua condivisa con la capitale costantinopolitana, la Chiesa della Madre di Dio è anche celebre per la sua scultura decorativa. Difatti, è la scultura a divenire ponte comunicativo con l’Occidente: le maestranze artistiche navigarono le rotte dell'Adriatico, portando con loro elementi distintivi del nascente romanico. Girali vegetali, “belle deformità” zoomorfe e antropomorfe corrono lungo i cornicioni della trifora absidale e del portale ovest, che presenta al popolo la Vergine assisa in trono tra gli arcangeli.

Cogliamo in controluce un legame con la Capitale sul Bosforo che si chiarisce con gli affreschi che rivestono le pareti del complesso: frammenti della Comunione degli apostoli e i santi vescovi officianti nell'abside, gli evangelisti nei pennacchi della cupola e i profeti sotto di essi. Imponente è poi la Crocifissione che occupa la parete ovest dell'edificio, mentre alcuni santi in piedi si ergono nel registro inferiore. Ancora scene del ciclo della Passione, la Dormitio Virginis, sul cui letto dorme in eterno Anna Dandolo, moglie di Stefan Prvovenčani. I dipinti parietali presentano a noi una galleria di antenati, effigi che scolpiscono i volti di un popolo alla ricerca della propria identità religiosa e politica.

In un viaggio tra i secoli del XII e XIII, ritti innanzi al chiacchiericcio del fiume Ibar, tra fiammeggianti mulinelli di foglie che accarezzano possenti mura ciclopiche e un soffocato mugolare del fosco bosco montano, troviamo una pietra ricoperta di laterizi e lastre marmoree che conserva il ricordo di una dinastia, la quale narra di battaglie, potere, affermazione e religiosa committenza.

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