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Raffaello Sanzio e Pablo Picasso: tanto diversi quanto simili

Aggiornamento: 25 apr 2021

di Greta Di Nardo Di Maio //


Quante volte, osservando un’opera di Picasso, abbiamo pensato «potevo farlo anch’io»? E quante altre, dinanzi a un dipinto di Raffaello, abbiamo provato incredulità?

È insita nell’uomo la necessità di comparare affinché ciò che risulta inspiegabile si definisca, divenendo chiaro.

Raffaello ritratto da Agnolo Doni (1506ca), Palazzo Pitti Firenze e Pablo Picasso


Proviamo a comprendere come quello che pare stilisticamente diverso potrebbe celare un’estrema somiglianza di pensiero.

L’arte raffigura la storia, ed è proprio quest’ultima a definirla. Dovremmo servirci di tale principio per inquadrare due figure importanti, padri di movimenti artistici che hanno segnato un’epoca: Pablo Picasso e Raffaello Sanzio, con annessi rispettivamente Cubismo e Rinascimento.


È inconcludente comparare l’arte col fine di affermare quale opera sia migliore, se con questo termine intendiamo, generalmente, più somigliante al dipinto di madre natura”.

Proviamo, ora, a figurarci di fronte due opere appartenenti a Picasso e Raffaello: quali differenze e somiglianze potremmo cogliere?

Raffaello fu un artista con un’elevata capacità tecnica, che gli garantì la resa impeccabile e fedele della realtà su tela. Le sue rappresentazioni risultano «più vere del vero». Riassumendo, potremmo definirlo un pittore di certezze, maestria e finezza; a conferma di ciò, Pietro Bembo fece incidere sulla sua lapide nel Pantheon a Roma «Qui giace Raffaello, da lui, quando visse, la natura temette d’esser vinta, ora che esso è morto, teme di morire».


Tomba di Raffaello Sanzio, Pantheon Roma

Abbiamo citato il ruolo essenziale della storia nello sviluppo dell’arte; l’Italia, durante il Rinascimento, visse una fase di splendore e ricrescita sotto ogni punto di vista. L’arte fiorì con essa e riuscì ad esprimere la serenità che si respirava; come si rappresentava una realtà apparentemente perfetta? Semplicemente osservandola, volgendo lo sguardo al di fuori delle proprie mura e raffigurando la natura così com’era o, se possibile, anche meglio di come appariva.


Scuola di Atene (1509-1511), Raffaello, Stanze Vaticane Roma


Picasso esordì invece agli inizi del ‘900, in un periodo storico contrastante col Rinascimento. Crebbe circondato dall’arte: «[…] a 13 anni dipingevo come Raffaello, ci ho messo tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino», confessò durante la sua carriera. Ciò che lega questo grande artista al Naturalismo è inizialmente l’influenza del padre, il quale nutre la passione del figlio per l’arte. Picasso si sente limitato, inoltre il periodo storico lo spingeva verso nuovi modi di rappresentazione; non bastava replicare la realtà così com’era, in quanto tragica e intrisa di guerre, bensì vi era la necessità di andare oltre. L’esigenza di raffigurare la realtà è la stessa, ma il modo in cui essa si tradurrà sulla tela sarà differente; l’artista infatti dipinge il mondo che lo circonda attraverso i suoi occhi.

Il Cubismo, di cui lui fu il massimo esponente insieme a Braque, si sforzava di congegnare una realtà nuova e diversa, non necessariamente simile a quella che tutti vedevano e vivevano.

La scomposizione in piani e volumi elementari, a seconda del modo di percepire la natura, è proprio il fondamento di questa Avanguardia. Quello che osserviamo e percepiamo non è sempre come ci appare. In che modo si rappresenta un soggetto in movimento? Perché la staticità è sinonimo di eleganza, e la rotondità di morbidezza? Eleganza è semplicità; c’è morbidezza anche in ciò che pare pungente e spigoloso. La natura nasconde scienza e poesia, spazio e tempo.

Qual è il punto di vista migliore per cogliere queste sfumature? Gli occhi di un bambino! O, meglio ancora, gli occhi di un uomo che non ha mai smesso di osservare il mondo come un fanciullo.


Les Demoiselles d’Avignon (1907), MoMA NY


Picasso costruì il suo stile colorandolo di fasi artistiche, Raffaello con la luce della natura.

Nelle opere di quest’ultimo vediamo tutto senza il minimo sforzo: alberi, fiori, corpi perfetti, luci e ombre definiti. Al contrario, con Picasso la mente deve sforzarsi, deve rimembrare come osserva il mondo un infante; solo allora riuscirà a notare attimi, colori e caos. La vita è soprattutto questo.

Les Demoiselles d’Avignon (1907) segnarono la svolta con figure spigolose, sfaccettate e osservate in più istanti e da diverse angolazioni; l’opera urla questa idea: se conosco una cosa, non ho bisogno di rappresentarla com’è. Lo spazio diviene un oggetto al pari degli altri; le figure sono attraversate da esso, cosicché ogni differenza tra contenuto e contenitore si annulla.

Il senso comune è stravolto, il senso raffaellita qui non esiste; donne come La Velata (1516) o La Fornarina (1520 ca) non ci sono più. Siamo dinanzi a una tela, eppure è come se girassimo intorno al soggetto che vi è dipinto sopra.


La Fornarina (1520), Palazzo Barberini Roma e La Velata (1516), Palazzo Pitti Firenze


Iniziamo a comprendere perché non dovremmo mai usare termini di paragone ai fini di preferire un’opera a un’altra? L’arte si vive, è necessità! Si sente e si ascolta! Bisogna ripercorrere il periodo storico in cui essa è collocata per renderci conto del lavoro che nasconde.

Nessuno di noi potrebbe replicare un Raffaello, un Picasso o qualsiasi altro artista, nonostante le capacità o il talento che potremmo avere, perché l’arte non è replica e non è solo capacità tecnica. Un quadro è, prima di tutto, un’idea, nata, nutrita e maturata. Non potendo rivivere la storia, non potremo mai sapere se anche noi avremmo avuto le stesse intuizioni geniali, ma possiamo crearne certamente di nuove. È giusto essere umili e grati a chi ci ha riassunto e raccontato un’intera epoca in un solo sguardo, senza bisogno di parole, perché tutto passa e la storia si ripete ma, se l’arte si rinnova sempre, la passione di un artista non muta mai.

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