di Arianna Consorte //
Sicuramente tutti abbiamo visto almeno una volta la famosissima fotografia Ragazza Afghana, nominata come la più riconoscibile nella storia della rivista National Geographic. Non solo la conosciamo perché è un’immagine fortemente diffusa e utilizzata in svariate campagne (un esempio fra tutti, le brochure di Amnesty International), ma soprattutto la ricordiamo per la netta capacità di impiantarsi nella mente dello spettatore grazie al suo sguardo magnetico, grazie a quegli occhi inconfondibili, espressivi e per merito di quei tipici saturi colori che caratterizzano l’opera di Steve McCurry, l’eminente autore di questa foto.
Tale fotografia racchiude la capacità dell’autore di raccontare – «tramite la gente», come afferma egli stesso – la meraviglia, la bellezza, la linfa vitale che si cela fin negli angoli più remoti del mondo abitato. In poche parole, possiamo ritrovare noi stessi – noi uomini – specchiandoci negli sguardi dei soggetti in questione, declinati nelle moltissime tradizioni, culture e folclore che animano il nostro pianeta. Questo autore è capace di raccontarci una storia di vita, di gioia, di dolore, di guerra, soltanto con una immagine che difficilmente riusciamo a dimenticare.
L’opera di questo artista è quasi enciclopedica, pertanto parlarne appieno richiederebbe troppe parole e sarebbe ingiusto e inopportuno racchiudere le sue realizzazioni e il suo apporto culturale in un umile articolo. Desideriamo, però, soffermarci sul significato del suo operato e sulla sua vocazione, che il fotografo sintetizza affermando: «Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell'essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità».
È proprio così che McCurry inizia la sua carriera. Nato nel 1950 a Filadelfia e laureatosi in Teatro presso la Penn State University, lavora inizialmente per un quotidiano locale per poi inaugurare la sua attività da fotografo itinerante in India, dove apprende il suo credo principale, fondamento della sua poetica: «Se sai aspettare, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto»; dunque, possiamo affermare che la sua fotografia sia il risultato dell’attesa del momento opportuno e dell’immedesimazione nella popolazione locale, che gli hanno permesso di realizzare degli scatti vissuti in prima persona piuttosto che esterni e imparziali.
Con questo presupposto possiamo giustificare il premio Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad, assegnato ai fotografi che si distinguono per un particolare coraggio. Infatti, travestitosi con abiti locali, McCurry attraversò il confine tra Afghanistan e Pakistan, controllato dai ribelli, poco prima dell’invasione russa.
La personalità poliedrica si riscontra nelle successive realizzazioni, dove si distingue come abile fotografo di guerra, di street o urban photography – oltre che, come ritrattista. Da questo momento, infatti, egli si sposterà in Iran, in Iraq, in Cambogia, nelle Filippine, in Afghanistan e nel pieno della guerra del Golfo, fondendo tutti i suoi tratti peculiari: la guerra è raccontata dai volti, nei quali egli riesce a cogliere l’anima più genuina e le storie di condizione umana.
La continua ricerca di vita e di esperienza lo ha condotto anche nel Belpaese e – con gli scatti qui realizzati – ci regala il Tributo all’Italia, diffondendolo via social proprio in questi giorni.
Si tratta di un breve video che racchiude le cornici di vita più esemplificative dell’anima italiana. Possiamo ritrovarci i nostri volti, le abitudini, le tradizioni folcloristiche, i colori della città e delle campagne.
Soffermiamoci su due aspetti; in apertura al video-tributo McCurry afferma: «L’Italia mi ha richiamato a sé più volte di quante ne potrei contare. Vivere bene e pienamente: è questa la filosofia di vita degli italiani, e la gioia di vivere non li ha abbandonati neppure in questo periodo»; ecco quindi che leggiamo in nero su bianco ciò che andremo poi a scorgere negli scatti riportati, in cui sembra quasi di sentir riecheggiare la famosa espressione della Dolce Vita italiana, mutuata da Fellini.
Il fotografo aggiunge: «La parte migliore dell’Italia sono le persone. L’ospitalità italiana non ha rivali. Non esiste posto più amichevole nel pianeta».
Potremmo forse dare un’interpretazione personale a questo tributo? Egli ha capito che per giungere alla bellezza, alla meraviglia, alla verità doveva aspettare e basava quindi la sua attività sull’attesa: che sia questo un monito per noi per ricordare, fra le righe, ciò che il nostro paese offre, quali sono i nostri valori, quale sia la nostra bellezza? Che sia questo un invito a essere uniti e solidali e ad attendere per poter ancora una volta apprezzare la nostra Italia e ritrovarci con le nostre persone?
Non sapremo mai se fra le righe Steve avesse voluto dirci questo; ne approfittiamo comunque per ringraziarlo per il suo tributo ed il suo velato monito.
Video tributo:
Link della rassegna fotografica del tributo: https://stevemccurry.blog/2020/04/14/soul-of-italy-a-tribute-from-steve-mccurry/?fbclid=IwAR3XCShaiRU0VEzvIux-dwvOhA7atVEhQnAV9EWeQn573ALr_sS_3-W9140
コメント