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Semplicità/complessità: l'ossimoro della penna BIC

di Francesca Rimoldi //


Ci sono poche certezze nella vita: la nascita, la morte e la BIC. È inevitabile pronunciare almeno una volta nella nostra esistenza la frase «Mi presti la BIC?» e ricevere una risposta intimidatoria per essere sicuri di riaverla indietro. La presenza di questa penna a sfera, dal costo molto ridotto e dai materiali poco pregiati, con il passare degli anni è diventata una sicurezza a cui rivolgersi in qualsiasi situazione. Una compagna per scrivere le proprie paure, un tema scolastico, un biglietto di auguri, una dichiarazione d’amore; uno strumento d’artista per disegnare un ritratto, un paesaggio, una caricatura del professore antipatico; un’aiutante per tic nervosi, pronta per essere agitata ripetutamente sul banco, mordicchiata, smontata e rimontata; alle volte braccio destro per iniziare una conversazione con una persona.


La storia della penna BIC, al contrario della sua anatomia, è molto articolata. Tutto ebbe inizio nell’estate del 1936, quando il giornalista ungherese Lásló József Bíró notò dei bambini giocare con le biglie; la sua attenzione si soffermò sulla scia che ogni biglia definiva, una volta lanciata sulla strada umida. Una traiettoria precisa e omogenea, come fosse inchiostro su carta: da qui l’idea di proporre una modifica alla penna stilografica, lasciandola cadere nel baratro del secolo precedente. Il prototipo consisteva nell’inserimento di una piccola sfera nella punta della penna, così che l’inchiostro potesse uscire in modo definito. La precisione era uno dei requisiti più importanti per Bíró, data la sua fobia: odiava sporcarsi le mani. Oltre alla sua alta capacità di osservazione, fu anche grazie a questa paura che ebbe l’idea dell’inserimento del medium tra l’inchiostro e la carta. Di grande aiuto fu il chimico György (nonché suo fratello) che modificò la viscosità dell’inchiostro in modo tale da rendere la scrittura scorrevole.

Purtroppo, con l’avvenire dell’antisemitismo e le loro origini ebraiche, Bíró e il fratello furono costretti inizialmente a rifugiarsi a Parigi, dove nel 1938 brevettarono la prima penna a sfera; infine si stabilirono in Argentina dove nel 1940, assieme al socio Juan Jorge Meyne che gli aveva facilitato la fuga dall’Europa, fondarono la società Bíró Meyne Bíró. Da qui la famosa penna Birome (acronimo di Bíró y Meyne) iniziò ad essere venduta a $ 12.50, un prezzo molto alto per il grande pubblico dell’epoca; gli affari andarono male anche dopo la decisione di cedere la licenza al celebre produttore di penne Parker.


Per necessità nel 1947 Bíró si ritirò dagli affari, decidendo di vendere il brevetto per 2 milioni di dollari all’imprenditore italiano naturalizzato francese Marcel Bich. Egli apportò alcune modifiche all’originale progetto della penna a sfera, rendendola alla portata di tutti. Nel 1950 la commercializzò con il nome BIC (privo della “h” finale per evitare errori di pronuncia), riscuotendo un successo immediato grazie ai materiali poco costosi e ad un conseguente processo di produzione semplificato al massimo: il prezzo di vendita arrivò ad essere di 10 centesimi a prodotto.

Avvenne così il passaggio da penna Biro a penna Bic: Bíró non si arricchì con i ricavi della sua ideazione e negli anni successivi ebbe una vita modesta, dando seguito alla sua passione nel trovare soluzioni innovative per nuove invenzioni; negli anni ‘60 ricevette un incarico per studiare un nuovo metodo di arricchimento dell’uranio per l’energia atomica.


Grazie a Bíró (che nel corso della propria vita ha lavorato a oltre cento invenzioni) e all’aiuto di Bich, oggi per noi scrivere è un atto diretto, semplice e puro.



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