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Se a.C. significasse "avanti Coronavirus"

di Francesco Salvatore //


«La storia ci giudicherà; verrà il tempo dei bilanci». Sono solo alcune delle parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel discorso pronunciato davanti alla Camera dei deputati il 25 marzo 2020 a proposito della pandemia di COVID-19, che ad oggi domina ogni canale di comunicazione. A prescindere dagli immancabili risvolti politici, una frase del genere può apparire scontata, ma tira in ballo due piani temporali che solo all’apparenza sembrano identici. «Il tempo dei bilanci» è un falso futuro, un presente incombente: la “pesatura” delle nostre singole azioni segue a ruota la loro realizzazione quasi senza intervallo. L’essere umano è abituato a lambiccarsi sul proprio operato, anche prima di avere a disposizione tutti gli elementi necessari per valutare correttamente. Da un lato, questo può essere un bene, perché potenzialmente aiuta a raddrizzare la propria rotta in corso d’opera.


Il cosiddetto giudizio della storia, invece, è un concetto che si colloca in un orizzonte che a malapena riusciamo a scorgere. Enrico VIII d’Inghilterra non immaginava che intere classi avrebbero studiato le sue gesta ed espresso pareri (seri o faceti) sulla sua condotta e sulle sue sei mogli, cinque secoli dopo la morte di tutti loro. Napoleone forse ci osserva sbigottito, quando dentro di noi ci rattristiamo per il suo esilio a Sant’Elena o godiamo della sua sconfitta a Waterloo. La “grande storia” degli storici giudica e valuta; la “piccola storia” degli studenti e degli appassionati si schiera e si emoziona.


D’altronde, chi è che duemila anni fa poteva immaginare che la nascita del figlio del carpentiere Giuseppe sarebbe diventata il punto di riferimento dei calendari di quasi tutto il globo? La terra compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano fu subito in grado di definire in maniera netta un prima e un dopo rispetto alla nascita e all’attività religiosa di Gesù di Nazaret. Cambiò il modo di vivere, cambiarono le feste e il loro spirito, cambiò l’atmosfera che si respirava per le strade e nelle abitazioni: grande comunione e compattezza, come per gli Apostoli e la Madonna rinchiusi in casa dopo la resurrezione di Cristo; sospetto e incertezza, al momento di avventurarsi in un mondo esterno in rapida evoluzione, come per i discepoli in viaggio verso Emmaus.


Negli anni a venire, a prescindere da considerazioni religiose personali, il Cristianesimo portò nuove speranze e opportunità alle classi sociali più svantaggiate della popolazione romana. D’altronde, ogni evento storico capace di coinvolgere “tutti” provoca enormi cambiamenti, talvolta inaspettati: dopo la peste del 1348, lo sfruttamento delle corvée lasciò il posto alla mezzadria e favorì l’ascesa di nuovi metodi di produzione; il sacco di Roma del 1527 e la conseguente grave epidemia trasformarono il dialetto romano, che perse la somiglianza col toscano diventando la parlata coinvolgente che oggi tutti conosciamo. Certo, non può in nessun modo esserci di consolazione la consapevolezza di trovarci nel pieno della storia, come singoli individui di un grande soggetto collettivo che, prevalentemente non agendo, agisce per la salvaguardia di tutti.


Voltando la testa dal passato in avanti, riusciamo davvero a immaginare professori e alunni del futuro quando nei loro libri evidenzieranno la data del 2020, cui seguirà l’espressione “Pandemia di Coronavirus”? Quel manuale di storia non ancora scritto potrebbe materializzarsi in molti modi diversi. La pandemia potrebbe essere una nozione di contorno, di quelle che all’interrogazione viene citata solo dal più bravo della classe; forse è questo l’esito che ci auguriamo. Oppure, potrebbe essere un termine in grassetto, il titolo di un paragrafo, il tema di un capitolo intero. Pertiene al giudizio della storia se un domani i manuali intitoleranno un capitolo “Il Duemila ante-Coronavirus”.


Nel momento presente, però, possiamo permetterci di fare dei bilanci. Davanti all’impossibilità di schioccare le dita e far scomparire tutto ciò che sta accadendo a favore della cosiddetta normalità, non possiamo che operare con quello che abbiamo tra le mani. È nostro dovere riflettere sulla realtà di prima a partire dalla nostra piccola quotidianità, allo scopo di migliorarla. Il giudizio della storia spetterà al mondo d.C., dopo il Coronavirus; a noi il compito, più arduo, di cogliere occasioni nella foresta delle difficoltà.



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