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  • Immagine del redattoreAngolo Storie

Come nasce una guerra?

di Francesco Salvatore //


I manuali di storia sono un’ottima testimonianza della bellicosità dell’essere umano: guerre e battaglie tediano da secoli gli studenti con le loro date e i complicati nomi stranieri. Spesso si ha la sensazione di assistere a una successione monotona di eventi, coronati quasi sempre dalla stessa conclusione: un trattato di pace che scontenta le forze in campo, gettando le basi per la guerra successiva. Oltre a nomi e date, però, c’è molto di più: la strategia, i rapporti politici, le personalità dei singoli individui che si trovano a guidare eserciti o interi Stati. D'altronde, la guerra è un evento totalizzante, perché coinvolge e stravolge ogni ambito della vita quotidiana: forse è per questo che i suoi possibili pretesti (tecnicamente “casus belli”) sono vari e diversissimi tra loro.


Come l’acqua nella pentola che se la guardi non bolle mai, così certe volte la guerra che desideri non scoppia quando dovrebbe. Ne sapeva qualcosa Adolf Hitler: la Polonia era una delle numerose spine nel fianco della Germania, eppure la sua alleanza con la Gran Bretagna la rendeva una preda non facile da attaccare. Il corridoio di Danzica, polacco da vent'anni, era una striscia di terra che separava le due metà della Germania: la sezione centro-europea ad ovest (corrispondente all'attuale Stato tedesco) e la Prussia ad est, un territorio fortemente sviluppato, cuore pulsante della cultura e dell’industria teutoniche.

I due corpi della Germania (a colori) separati dalla Polonia.

Per accelerare il processo, i servizi segreti nazisti ricorsero all'inganno: dapprima si procurarono diverse divise polacche per i propri agenti che conoscevano la lingua di Varsavia; poi, la sera del 31 agosto 1939, entrarono nella stazione radiofonica di Gleiwitz e simularono un attacco avversario con la complicità degli agenti tedeschi locali. Per risultare più credibili agli occhi della stampa e dell’opinione pubblica, lasciarono sul campo alcuni cadaveri di prigionieri politici slavi (vestiti come soldati polacchi) e diffusero un messaggio radiofonico antitedesco, che incitava le minoranze polacche in Germania a scendere in strada e ribellarsi. L’attacco a sorpresa del 1° settembre contro la Polonia era stato deciso giorni prima, ma questa mossa dell’ultimo minuto permise ad Hitler di sventolare un casus belli credibile davanti ai suoi concittadini.

La stazione radiofonica di Gleiwitz (oggi Gliwice).

Quasi tre mesi dopo, il copione si ripeté un po' più a nord, ma con protagonisti diversi: il 26 novembre le guardie di confine finlandesi assistettero ad alcuni colpi di artiglieria nel vicino villaggio sovietico di Mainila. Le autorità della Finlandia precisarono subito di non avere nulla a che fare con l’attacco e proposero una commissione investigativa neutrale, ma all'URSS non interessava: il patto di non-aggressione tra i due Stati fu ritirato e quattro giorni dopo i sovietici diedero inizio alla Guerra d’Inverno. Solo a distanza di decenni si scoprirà la verità, ispezionando documenti secretati: l’attacco fu orchestrato proprio dai sovietici, interessati alla regione finlandese della Carelia e ad alcune isole nel mar Baltico, fondamentali posizioni preventive in un’eventuale guerra con la Germania nazista (poi effettivamente concretizzatasi).

Postazione finlandese di confine con mitragliatrice.

La forgiatura di un pretesto bellico ad hoc è pratica antica, ma nel grande libro dei casus belli incontriamo anche altri esempi decisamente originali. La cosiddetta “guerra del calcio” non è un errore di battitura: il conflitto del 1969 tra Honduras ed El Salvador scoppiò proprio dopo un incontro calcistico tra le due Nazioni confinanti, valido per la qualificazione ai Mondiali del Messico (1970).


In realtà, la vittoria di El Salvador per 3-2 nello spareggio finale fu soltanto la proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso”: i due Stati erano in rapporti tesi da anni per via delle loro grandi disparità. Ad El Salvador, infatti, era negato uno sbocco sull'oceano Atlantico nonché il controllo sul golfo di Fonseca, fondamentale in quanto porto riparato dai tifoni della zona; l’Honduras, invece, soffriva per i ridotti investimenti statunitensi, che preferivano lo Stato concorrente in quanto più sviluppato e popoloso, nonostante il territorio honduregno fosse più esteso e mettesse a disposizione ampi terreni incolti. Pochi giorni prima della partita, l’Honduras aveva deciso per l’espatrio forzato di circa trecentomila immigrati salvadoregni, arrivati per lavorare nelle nuove tenute agricole: la partita di calcio fece esplodere le tensioni già esistenti, sfociando in una guerra che arrivò a mietere più di seimila vittime in soli cinque giorni.

Il campo neutrale di Città del Messico, luogo dello spareggio.

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