di Sara Di Nardo //
«Per lui non vale il detto che è del Papa,
morto un Troisi non se ne fa un altro».
Recita così la poesia scritta da Roberto Benigni, collega e amico di Massimo Troisi, in seguito alla morte dell’attore partenopeo. In quel fatidico 4 giugno del 1994, l’Italia perde una delle figure più importanti del suo panorama artistico e culturale. Oltre alla scomparsa prematura, però, quando si pensa a Massimo Troisi si parla soprattutto del valore inestimabile della sua eredità, di cui oggi – ormai 26 anni dopo – sentiamo ancora l’influenza.
Nonostante la significativa carriera cinematografica, è la dimensione teatrale a formarlo come attore. I primi esordi avvengono nel teatro parrocchiale locale: la visione del comico è da subito rivoluzionaria. Da un lato, Troisi spinge per modernizzare il personaggio di Pulcinella – tipico della Commedia dell’Arte – proponendo una comicità più autentica e introducendo testi da lui scritti. Dall’altro, l’attore partenopeo mette in scena un teatro impegnato: poiché affronta tematiche scottanti (quali le lotte operaie, la religione e l’emigrazione) dopo pochi spettacoli la parrocchia lo costringe ad esibirsi altrove. Troisi fonda dunque il “Centro Teatro Spazio”, la conseguenza del quale sarà “La Smorfia”, trio formato con Enzo Decaro e Lello Arena che lo porterà al debutto in televisione.
Nel corso della propria carriera, oltre a collaborare con personalità del calibro di Marcello Mastroianni ed Ettore Scola, il comico napoletano dirige e interpreta pellicole quali Ricomincio da Tre (1981), Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere (1984) e Le vie del Signore sono finite (1987). Massimo Troisi segna indelebilmente il nostro cinema ed è ancora oggi motivo di irrefrenabile orgoglio: forti della sua visione incredibilmente moderna e di una comicità intelligente e mai volgare, i suoi film restano tra i più amati dal pubblico italiano.
Il Postino (1994), diretto da Michael Radford, è l’ultima pellicola che l’attore riesce a girare. Durante le riprese, infatti, le sue già precarie condizioni di salute si aggravano notevolmente. Tuttavia, Il Postino è un progetto al quale tiene immensamente e che vuole portare a termine a tutti i costi: grazie ad ore ridotte di lavoro e all’aiuto di controfigure nelle scene più faticose, Troisi riesce a finire il film. La pellicola ha un successo strepitoso anche all’estero, e per la sua indimenticabile interpretazione l’attore ottiene una nomination agli Oscar come Miglior Attore Protagonista. Purtroppo, però, non farà mai in tempo a vederla: qualche giorno dopo la fine delle riprese il comico napoletano muore per un fatale attacco cardiaco.
In virtù di ciò che Troisi affronta nel privato e che inevitabilmente emerge dalla sua interpretazione, Il Postino non è un film facile da guardare. Il protagonista della vicenda ha la verve e l’umorismo tipico degli altri personaggi dell’attore. La tristezza che porta negli occhi, però, è tutta nuova: la malinconia che Troisi cuce addosso al suo personaggio è latente ma palpabile, e quella del film si trasforma nell’interpretazione più toccante della sua carriera. Il Postino è una dedica alla poesia, all’amore e all’Italia; è un esempio validissimo del nostro cinema e, complice l’aura dolceamara che lo avvolge, diventa un commovente omaggio al comico napoletano.
Benigni scriveva così:
«O Massimino io ti tengo in serbo
fra ciò che il mondo dona di più caro
ha fatto più miracoli il tuo verbo
che quello dell’amato San Gennaro».
Massimo Troisi se n’è andato troppo presto; quello che ci ha lasciato, però, vivrà per sempre.
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