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Lolita: un nome, una storia

di Elena Rega //


«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia».


In pochi non avranno mai sentito parlare della scandalosa opera di Vladimir Nabokov, che racconta della malata ossessione del professore quarantenne Humbert per la dodicenne Dolores Haze. “Lolita” è il soprannome dato dal protagonista alla fanciulla; il nome è ben presto entrato nell’immaginario collettivo per definire giovani seduttrici, come possiamo leggere dalla definizione data dal vocabolario Treccani:


«Lolita s. f.– Adolescente precoce, che, anche per i suoi atteggiamenti maliziosi, già suscita desideri sessuali, spec. in uomini maturi; ninfetta».



Dopo esser stato rifiutato dalle case editrici statunitensi che lo avevano erroneamente ritenuto un romanzo pedopornografico, il libro vede la luce a Parigi nel 1955 grazie alla Olympia Press, che si occupava prevalentemente di romanzi erotici. In merito alla genesi, Nabokov scrive: «Il primo vero palpito di Lolita mi attraversò verso la fine del 1939 o all'inizio del 1940 a Parigi, mentre ero immobilizzato da un forte attacco di nevralgia intercostale» e da lì il personaggio dell’adolescente che si muove per istinti sessuali non ha mai abbandonato l’autore, fino a quando non ha iniziato la stesura del romanzo.



Il racconto inizia in forma di diario con le confessioni di Humbert riguardanti la sua passione per le giovani donne: con estrema limpidezza descrive le sue pulsioni perverse, derivate probabilmente da un amore inappagato per una bambina morta prematuramente quando lui era ancora dodicenne. Attraverso Lolita il professore rivive ciò che non ha potuto avere in gioventù. Nonostante siano presenti delle descrizioni cariche di erotismo, Nabokov racconta questo amore morboso e totalizzante senza scadere nella mera pornografia.


Tra i due amanti si frappone la figura della mamma della giovane, la vedova Charlotte Haze, dal momento che il protagonista la sposa solo per poter star vicino alla sua amata. Humbert cospira continuamente per sbarazzarsene, finché non subentra il fato che lo aiuta a realizzare il delitto perfetto dando un tocco noir al romanzo.



La piccola Lolita viene descritta sempre attraverso gli occhi del professore, in modo tale da non fornire al lettore una visione chiara e concreta, in quanto distorta dalle impressioni di Humbert. Infatti, come lo scrittore stesso ci spiega in un’intervista, «Fuori dallo sguardo maniacale di Humbert non c’è una ninfetta. Lolita la ninfetta esiste solo attraverso l’ossessione che distrugge Humbert».


Ciò non accade nell’adattamento cinematografico di Lolita, realizzato da Stanley Kubrick nel 1962. Per il ruolo della protagonista fu scelta l’attrice Sue Lyon, allora quattordicenne, con il benestare di Nabokov. Caratterizzante è la scena del “fattore decisivo”, in cui il professore Humbert sceglie la casa di Lolita come sua dimora temporanea dopo averla vista in giardino: da un primo piano decisamente erotico sulla ragazza il regista bruscamente cambia scena inquadrando Frankestein, che poi si rivelerà essere un frame del film che i personaggi stanno guardando in un drive-in. È immediata l’analogia fra la ragazza e il mostro, come se fra i due si instaurasse un legame stretto. La Lolita di Kubrick è più carnefice che vittima, si mostra consapevole della propria sensualità e disposta a sedurre il quarantenne.



Il tema dell’uomo maturo che si invaghisce della giovane donna viene così riprodotto negli anni, per esempio nella pellicola American Beauty di Sam Mendes (1999); in questo caso viene narrata la storia di un impiegato di mezza età e la sua attrazione per una bellissima adolescente.


Per quanto Lolita sia un libro complesso e ambiguo, in poco tempo è divenuto un vero classico della letteratura contemporanea occidentale, da cui anche i più grandi registi hanno tratto ispirazione per i loro capolavori cinematografici. Possiamo considerarlo, dunque, un “must have” del lettore.

Credit video: A.A. Productions Ltd., Anya, Harris-Kubrick Productions, Transworld Pictures

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