di Elena Rega //
Frutto di sette stesure e pubblicato nel giugno del 1978, La vita interiore di Alberto Moravia ci racconta del falso moralismo della borghesia negli anni del terrorismo italiano e della contestazione sociale, incorniciandone i caratteri essenziali all’interno di una narrazione priva di fronzoli e di abbellimenti.
Diviso in tre parti (La casa di appuntamenti, Gli anni criminali e Il gruppo e l’orgia), il romanzo si presenta come un’ intervista fatta da un narratore, indicato con il pronome “Io”, alla protagonista dell’opera. Questa storia, atemporale e al tempo stesso intrecciata con la realtà politica e sociale italiana degli anni ’70, ci viene raccontata da una ragazza: Desideria. A dominare le sue azioni è una Voce interiore che guida e decide per lei, spronandola ad agire in maniera rivoluzionaria; la giovane donna si lascia trasportare da essa diventandone succube e dipendente.
Due sono i motori su cui si basa la narrazione: da una parte il simbolico, come spiega Desideria stessa quando afferma che «nella vita pratica si agisce realmente, ma nella vita interiore tutto avviene simbolicamente», attraverso atti di dissacrazione che la protagonista deve compiere contro la famiglia, il linguaggio, la cultura, la religione e i valori della classe borghese, definita dall’autore corrotta e decadente; la ragazza profana perfino il libro de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, dato che, in una scena del romanzo, si pulisce il sedere con una pagina dell’opera. Dall’altro lato vediamo la rivolta, elemento costante e ossessivo sia nella vita sia nelle opere di Moravia: in questo romanzo la ritroviamo sin dall’infanzia di Desideria che, per volere della Voce, decide di rivoluzionare il proprio aspetto fisico.
La protagonista è stata adottata da una ricchissima famiglia del quartiere romano dei Parioli e vive con la madre, Viola, alla quale sin da piccola sente di non appartenere. Da bambina assiste ai suoi amplessi constatandone l’ossessione erotica e la dissolutezza. All’interno del romanzo sono presenti, infatti, numerose scene sessuali che sconvolsero il pubblico lettore e la critica del tempo. Alle accuse Moravia rispose: «Nel mio libro il sesso serve a caratterizzare i personaggi, né più né meno di come la redingote serviva a caratterizzare i personaggi di Balzac e di Dickens».
La ragazza comincia ad essere amata dalla madre solo quando da «grassona» diventa bella e desiderabile. A questo punto, il sentimento di Viola oscillerà sempre fra affetto materno e amore incestuoso, sentendosi attratta dal nuovo aspetto assunto dalla figlia come se non esistessero limiti. La repulsione per la borghesia “pariolina” da parte di Desideria è incarnata dalla figura della madre adottiva, verso la quale nutre un sentimento di odio-amore mai del tutto risolto.
Un crescendo di azioni dettate dalla smania di rivoluzione spinge oltre Desideria che, attraverso Gli anni criminali non indugia nel lasciarsi andare ai reati più disparati, arrivando persino a pianificare il sequestro della madre. È a questo punto che storia fittizia e reale si intrecciano, tant’è che la stesura del romanzo avviene esattamente nell’anno dell’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Moravia, allora uno dei più famosi scrittori italiani, è il primo a raccontare il mondo dei terroristi come mai fatto in precedenza attraverso l’espediente narrativo del rapimento di Viola.
Il linguaggio forte e talvolta scurrile contribuisce ad assegnare al personaggio di Desideria le caratteristiche tipiche della protesta giovanile. Il suo atto di rivolta termina con l’omicidio (sempre dettato dalla Voce) del suo amante e di un altro ragazzo.
Il romanzo non possiede un finale, resta sospeso. Desideria se ne va mentre viene rincorsa dall’intervistatore “Io”. Tuttavia, lei conclude: «La tua immaginazione mi ha bruciata, consumata. Alla fine non esisterò più, se non nella tua scrittura, come impronta, come personaggio». Moravia segue, in questo modo, una tradizione già calcata da altri scrittori, secondo cui il fine del romanzo non è quello di avere un epilogo, ma piuttosto di permettere ai personaggi di rivelarsi al lettore e prendere vita.
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