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La scuola cattolica di Edoardo Albinati

  • Immagine del redattore: Angolo Letteratura
    Angolo Letteratura
  • 14 mag 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 14 ott 2021

di Elena Rega //


Siamo nella Roma degli anni Settanta, un periodo cruciale per la società italiana impegnata nella “mutazione antropologica” di pasoliniana memoria. Nella notte del 29 settembre 1975 si consuma una terribile tragedia, a dir poco disumana: il delitto del Circeo. È proprio da qui che parte La scuola cattolica di Edoardo Albinati, un romanzo tanto corposo quanto fondamentale per comprendere ciò che accadde in quel momento storico e perché. Lo scopo dell'opera, infatti, è rintracciare la genesi di quell'atteggiamento di sopraffazione, arroganza e cameratismo fascista del maschio italiano, partendo dalla sua educazione. Tra gli attori del massacro vediamo Angelo Izzo, uno studente di medicina, che fu compagno di scuola dell'autore.



Il romanzo è ambientato nel quartiere Trieste della capitale italiana. Il San Leone Magno è l’istituto privato più in voga del tempo e consiste in un collegio maschile gestito da soli preti. A mancare sono le donne. L’unica ad essere presente è la Vergine Maria, alla quale i sacerdoti-professori sono molto devoti: una figura materna, funzionale al processo educativo ma non sufficiente. Questa carenza dell’elemento femminile porta a un eccessivo e ingestibile desiderio da parte dei ragazzi nei confronti del sesso opposto.



Albinati prende come modello per le proprie ricerche la sua classe collegiale. La difficoltà nell’essere un maschio adolescente deriva da una continua pressione causata dalla necessità di dover dimostrare di essere uomini. Lo spogliatoio della palestra, per esempio, diventa il luogo adatto per la misurazione e il riconoscimento della mascolinità. Durante la valutazione dei corpi avviene lo svilimento di categorie esterne, quali le donne e gli omosessuali.


«In quanto maschio gli sono stati additati degli standard da raggiungere e onorare, e nulla lo spaventa di più del dubbio che la sua sia una mascolinità venuta male, incompiuta […]. Una ossessione legava i compagni di scuola: […] scoprire che posto occupavano nella scala della mascolinità».


Ogni individuo sviluppa e mostra all’esterno la parte di sé che ha più probabilità di essere accettata dalla società. È proprio nell’età dello sviluppo che il “falso sé” viene maturato. Lo stesso Albinati confessa di aver usufruito del proprio io falsato, in quegli anni, solo per rispondere a quel desiderio di conformismo cui era stato educato. Convivere con questa contraddizione intima costa, però, una grande fatica che viene sostenuta per la paura del giudizio altrui.


La violenza maschile risiede nell’assenza di tenerezza e nella paura di quest’ultima. È così che il ragazzo si riconosce attraverso l’aggressività e il dominio, prima nei confronti dei suoi simili e poi verso le donne, viste come oggetto del piacere per gli uomini che non devono cedere a sentimenti d’amore.


Con la libertà sessuale degli anni Settanta il ruolo del “dominatore” inizia ad appartenere anche alla donna. Destabilizzato dal nuovo potere del sesso femminile, il maschio cerca di ristabilire il suo ruolo attraverso la violenza e commettendo crimini, come lo stupro. L’affermazione della mascolinità implica la sottomissione e l’assoggettamento del sesso femminile. «È lo schema semplificato secondo cui ogni essere, per affermarsi, deve assoggettare gli altri esseri. Si esprime la propria volontà vitale solo piegando la volontà altrui». Quindi, il maschio tollera a fatica ciò che riguarda la sessualità femminile.


Nel caso trattato nel libro, le vittime di tale violenza furono due giovani amiche: Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, di 17 e 19 anni. Una volta adescate, furono drogate, violentate e seviziate in una villa di San Felice Circeo, in provincia di Latina. Donatella riuscì a rimanere in vita fingendosi morta, mentre Rosaria morì dopo essere stata annegata in una vasca da bagno. Per il massacro vennero condannati tre ventenni: Giovanni Guido, Andrea Ghira e Angelo Izzo.



È proprio dal San Leone Magno che arrivano gli autori del massacro, cresciuti tra privilegi della classe borghese e povertà evangelica della fede cristiana come Albinati, che analizza puntualmente la cosiddetta “cultura dello stupro” purtroppo ancora attuale.


«Noi viviamo dunque in una società dello stupro. Ostilità, rapacità e potenza trovano una manifestazione sessuale. Il sesso è il linguaggio, non la cosa. È il modo di volere, non l’oggetto voluto. Si declina attraverso il sesso qualsiasi pulsione: vendicativa, rivendicativa, esibizionistica, identitaria».

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