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La Dolce Vita: manifesto culturale di una società disillusa

di Angela Centurione //



Nel febbraio del 1960, sessant’anni fa, una folla strepitante si era assiepata all’entrata del cinema Capitol di Milano. C’era appena stata l’anteprima de La dolce vita; quello che poi verrà considerato come uno dei capolavori del cinema italiano veniva criticato aspramente da un’Italia benpensante che gridava alla vergogna. I giornali dell’epoca raccontano di fischi, insulti e sputi contro Federico Fellini, regista dell’opera e geniale visionario, la cui arte ha ispirato film-makers del calibro di Martin Scorsese e David Lynch.


L’aspra e pungente critica della decadenza morale della società italiana viene all’epoca scambiata come un’esaltazione superficiale della mondanità. Il film dipinge infatti un affresco impietoso della Roma degli anni ’60, in cui, senza una meta, si muovono personaggi grotteschi e annoiati, che vivono un’esistenza priva di ogni moralità. Il protagonista è Marcello, interpretato da un magnetico Marcello Mastroianni, giornalista di cronaca rosa con l’ambizione di diventare scrittore. Antieroe affascinante e malinconico, si accompagna ad attori e membri dell’aristocrazia che come lui sono sempre alla ricerca del piacere. Tra questi c’è Sylvia, diva americana che farà innamorare Marcello per una notte, e Steiner, intellettuale e padre di famiglia profondamente ammirato dal protagonista.


Il film non è caratterizzato da una trama unica, ma da diversi episodi che si susseguono fino a formare un mosaico che, in uno stile onirico e virtuoso, raffigura una società che ha ormai perso la sua innocenza. In un mischiarsi di sacro e profano, Fellini rappresenta la religiosità e la sessualità in un modo mai visto prima. Il film si apre con due elicotteri che trasportano una statua di Cristo. «Dove va?» chiedono delle ragazze che assistono alla scena. È ciò che si chiede Fellini ed è ciò che ci chiediamo anche noi durante la visione del film. La risposta, però, non è data. Episodi come l’apparizione della Madonna nella periferia di Roma, inventata a scopo di lucro e spettacolarizzata dalla stampa, mostrano una società incapace di sentire la spiritualità. Il suicidio di Steiner, successivo all’omicidio dei suoi due figli da parte dello stesso, metaforizza un intellettualismo vuoto incapace di sopravvivere all’incertezza della vita. La figura di Sylvia, angelo e dea, contiene in sé elementi cristiani e pagani. Nella famosa scena in cui si immerge nella fontana di Trevi mostra a Marcello la bellezza di una natura libera e selvaggia, ma l’uomo non ha che pensieri sensuali e l’attrazione per la dolce vita ha di nuovo il sopravvento.

Da come si intuisce durante tutto l’arco narrativo, l’epilogo non può che essere negativo. Marcello, dopo aver preso parte a una festa orgiastica, si ritrova in riva al mare. Qui intravede Paola, una ragazzina che lavorava in un bar su una spiaggia dove Marcello aveva provato a scrivere. La ragazza, allegoria dell’innocenza, cerca di dirgli qualcosa, ma lui non riesce a sentirla. È segno di un’incomunicabilità tra due personalità che vorrebbero avvicinarsi ma che rimangono inconciliabili. Marcello è infatti ormai inebetito e incapace di dare una svolta alla sua esistenza. Dopo essere stato chiamato più volte e invano, il protagonista alza le mani come in segno di resa e torna dai suoi amici. Il film finisce così come è iniziato: Marcello è bloccato in un piacere vuoto che gli impedisce di riscattarsi e vivere autenticamente.


Fellini non solo ha creato un’opera di altissima levatura artistica, ma ha rappresentato la crisi culturale e sociale di un’Italia che si apprestava ad entrare nel boom economico. La dolce vita segna infatti la fine del cinema neorealista italiano e si affaccia su una società nuova, che abbandona vecchi valori e va alla ricerca di ispirazioni e rivelazioni che possano dare genuinità alle cose della vita. Il genio felliniano intuisce e anticipa la crisi di una generazione che si nasconde in piaceri vuoti, caratterizzata da un benessere solo esteriore che la porta alla noia e alla disillusione.

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