di Carla Di Renzo //
Il Rigoletto è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal capolavoro di Victor Hugo, Le Roi s’amuse (“Il Re si diverte”).
Rappresentato per la prima volta a Venezia presso il Teatro La Fenice l’11 marzo del 1851, preannuncia una rivoluzione nel tessuto musicale operistico. Tra il ‘39 ed il ‘59 Verdi, difatti, si dedica alacremente alla sua attività componendo quindici opere e tre di esse proclamano una metamorfosi che rinnoverà il panorama della musica. Seguendo l’insegnamento del maestro Victor Hugo - che nell’encomio del “bello” come simbolo di modernità trovò i mille volti del deforme, dell’orrido, del brutto - Giuseppe Verdi accetterà una sfida sotto il segno del grottesco: suggellare in uno sposalizio due ossimori, il comico ed il tragico.
Numerose testimonianze ci traghettano nell’evoluzione dell’opera che condizionerà la storia della musica.
Basti pensare ai carteggi di lettere inviate al suo librettista nel 1850, in cui egli elogia con passione il nuovo soggetto, Triboulet, che come un lampo, muove pateticamente le corde artistiche del musicista divenendo per lui fulminea ispirazione: ecco dunque la rivelazione di un soggetto folgorante! È la prima opera della Trilogia Popolare, una trilogia che si coagula in pochi anni: dal 1851 al 1853. Nessuna battuta d’arresto separa mondi così concettualmente ed idealmente distanti, quali quelli del Rigoletto, del Trovatore e, infine, della Traviata.
Tre soggetti in cui Verdi ha trovato la novità, la grandezza e l’audacia sotto nuove forme musicali. Legittimo è ora domandarsi: cosa lega questi tre capolavori che animano una rivoluzione?
Essi presentano al pubblico una galleria di personaggi dai tratti insoliti, bizzarri, che si pongono sotto il solitario "occhio di bue" e sul palcoscenico lasciano vivere scene contrastanti, colorate da un ritmo incalzante. A sorprendere è tuttavia il trattamento musicale che Verdi adopera per modellare nuovi soggetti. Egli si focalizza sulla modulazione della voce, sul canto che si articola in atteggiamenti diversi: dal recitativo asciutto, secco, al declamato sinfonico, alla melodia mai fine a sé stessa. È una melodia orecchiabile e la sua grandezza consiste nella complessità di andamento: sono armonie che hanno una loro imprevedibilità di sviluppo e l’arte del compositore è così raffinata, da non lasciar noi consci dei contrasti.
Note che si susseguono e non scolpiscono solo l’affetto, bensì la personalità, l’individualità. L’orchestra sostiene il canto, arricchendo le melodie plastiche che ci parlano di equilibrio, proporzione; la voce si lascia fluire con un ritmo che, seppur febbrile, vertiginoso, mai si lascia meccanicizzare.
Le tre opere sono legate anche sotto il punto di vista contenutistico: incontriamo il gobbo deforme nel Rigoletto, la zingara reietta della società e la prostituta redenta. Soggetti che, lontani dalla mitologia titanica dell’età classica, impongono sul palco l’umanità. Nell’idea del tempo troviamo nascosta la diversità: il Rigoletto è l’opera del tempo sospeso.
L’attesa che la maledizione produca il suo effetto e consumi l’animo del protagonista. Nonostante le ampie colate drammatiche, il periodo si ferma; ma proprio qui, ove la scena si carica di suspence, lo scorrere dell’orologio degli eventi va a coincidere con quello rappresentato.
Il Rigoletto è un’opera di fenomeni, dunque mette sul palcoscenico esperienze fenomeniche, empiriche.
Il Trovatore, invece, è una ballata d’essenza. Il tempo si fa ideale, metafisico, impalpabile, perché i personaggi non sono più colti nella fragranza di eventi, ma mutano in immagini, in proiezioni; è tutto ciò che anima e vive nella dimensione del confuso: l’immaginazione. In questa dimensione fuori dal tempo, si evolve la rappresentazione del conflitto tra amore e morte: un dramma esistenziale, quello dell’incomunicabilità. Qui il silenzio circostante bagna i protagonisti, avvolgendoli in un “tacito tumulto”. Potrebbe lasciar pensare alle opere del De Chirico che esibiscono spazi liquidi, quelli della fantasia, ove il sentimento è portato all’incandescenza della passione!
Nell’ultima opera della trilogia popolare, la Traviata, troviamo un tempo incalzante, precipitoso, un tempo dettato da un amore disinteressato che distrugge la vita, dunque l’eros che si trasforma in Caritas, in donazione di sé. La protagonista Violetta, travolta dalla sua malattia, non può disporre del tempo e lo rincorre. Sotto il segno della potenza erotica e dell’amor proibito, ella si lascia corrodere da un ticchettio che si fa lacerante.
Sopraffatti dalle novità, siamo davanti ad una rivelazione musicale, un’epifania: il teatro di Verdi cattura, coglie lo spettatore grazie alla capacità drammatica di “muovere gli affetti” e alla messa in scena di un gioco di contrasti chiaroscurali.
P.s. Per poter digerire la verbosa e prolissa presentazione di un mondo musicale quale l’opera, vi consiglio caldamente una colonna sonora che possa accompagnarvi nella lettura: https://youtu.be/xCFEk6Y8TmM
Comments