top of page
  • Immagine del redattoreAngolo Cucina

I conti con l’oste: la riscoperta della sincerità

Aggiornamento: 1 lug 2022

di Caterina di Luzio //


Tommaso Melilli è uno chef, ed è anche uno scrittore bravissimo. Il suo percorso è piuttosto peculiare: si trasferisce a Parigi per studiare lettere alla Sorbona, ma finisce per fare il cuoco in vari bistrot, rimanendo nella capitale francese per molti anni. Ben presto, si rende conto che lavorare tra i fornelli è durissimo, che ci si scotta parecchio e che bisogna avere una tempra non indifferente per stare dietro ai ritmi forsennati di una brigata. In questi anni vissuti freneticamente, l’Italia sembra lontana nello spazio e nel tempo, eppure Melilli sente di non aver fatto del tutto i conti con il “paese delle tovaglie a quadretti”. Decide quindi di assecondare questo richiamo e tornare in Italia, perché non c’è cosa migliore del tornare da dove si è venuti, per comprendere davvero dove si sta andando. Nasce così il viaggio gastronomico I conti con l’oste. Ritorno al paese delle tovaglie a quadretti (Einaudi, 2020).





L’oggetto privilegiato di questa indagine, a metà tra il saggio e il romanzo di formazione, sono le moderne osterie, quelle osterie che hanno raccolto l’eredità delle trattorie a conduzione famigliare e che ancora oggi costellano la penisola da nord a sud. La trattoria, osserva Melilli, è una realtà tutta italiana: in moltissime cucine, dalle mediorientali alla francese, le tradizioni culinarie dei ristoranti e quelle della vita domestica scorrono parallele senza mai incontrarsi. In Italia, invece, i piatti che mangiamo nelle trattorie sono essenzialmente quelli che mangiamo a casa: la trattoria, infatti, nasce quando una persona o una famiglia cucina dei piatti della tradizione regionale particolarmente bene, al punto che «decide di farlo per più persone e in un luogo più grande». La conseguenza di questo fenomeno è che gli italiani solitamente escono dalla trattoria mediamente soddisfatti, senza alcuna soggezione nei confronti di chi cucina, con l’intima consapevolezza che la lasagna che hanno appena mangiato, forse, l’avrebbero cucinata meglio loro. Il punto è che, afferma Melilli, mangiare fuori non è mangiare in casa, e di questa verità lapalissiana dovrebbero fare tesoro sia l’oste sia l’avventore. È proprio in questo spazio sottile che dovrebbe inserirsi una moderna osteria: far star bene come a casa, ma sorprendendo. A tal proposito, da un po’ di anni a questa parte molti cuochi e cuoche italiani si sono lanciati in una sfida entusiasmante: raccogliere l’incommensurabile tradizione culinaria domestica e farne qualcosa di nuovo.



Il viaggio parte proprio da Parigi, dove l’esule Giovanni Passerini aprì il suo primo ristorante da cinque coperti, rinunciando, come molti altri giovani chef italiani, alla cucina pomposa dei ristoranti stellati, ai loro ritmi estenuanti e alle onorificenze. Questi chef, attorno al 2010, aprirono i loro primi ristoranti in dei garage, con dei menù stringati, da poche decine di euro, e che variavano a seconda della stagionalità dei prodotti. Giunto in Italia, seguendo questo filo conduttore, l’autore passa in rassegna, da Trippa a Milano a Santo Palato a Roma, le storie di una serie di osterie ormai iconiche, che hanno riscoperto un modo di mangiare sincero, tradizionale e al tempo stesso moderno, recuperando certe ricette bistrattate, dimenticate o demodé e dando loro nuova vita.



L'osteria, dunque, può essere un ponte ideale tra passato e presente, un luogo in cui le tradizioni vengono custodite senza il timore di trasformale, e la risposta concreta a una ristorazione che per un po' di tempo, specie nelle grandi città, ha concentrato tutte le sue energie sul marketing a scapito, spesso, del cibo stesso. Melilli, in modo affabile e delicato, ci conduce in questo viaggio alla riscoperta di una cucina autentica, e lo fa trasudando competenza, ma soprattutto amore.

75 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page