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Gabriele Basilico: architetto in fotografia

Aggiornamento: 29 nov 2020

di Arianna Consorte //


Architetto, fotografo, sociologo, viaggiatore cosmopolita: sono questi gli appellativi che potremmo attribuire a Gabriele Basilico, architetto di formazione, primo grande fotografo di spazi architettonici per la capacità di catalizzare tutte queste personalità nell’insieme del suo progetto fotografico.

«Mi ero dato una specie di missione, testimoniare come lo spazio urbano si modifica»: con tali propositi esordisce negli anni ’60, ancora nel corso della sua formazione e immerso nell’onda dei movimenti sociali; infatti, continua: «Erano anni in cui la coscienza politica ti imponeva di uscire e fotografare il “sociale”». Così possiamo inquadrare il primo Basilico, che si misura come sociologo – quasi antropologo nel pieno di un’indagine sociale sul mondo circostante, da lui considerato degno di essere analizzato nelle evoluzioni e immortalato in una pluralità di scatti.

La sua prima raccolta Milano. Ritratti di fabbriche – viene pubblicata solo nel 1982 ed è una fusione tra le radici della sua fotografia e un nuovo stile informativo ed analitico, che via via si farà strada nei lavori successivi: questo progetto è, dunque, un incontro tra il reportage umanistico e la nuova concezione di spazi come frutto dell’opera umana, partorita da trasformazioni socioeconomiche del periodo industriale e post-industriale.

Sull’onda di questo primo lavoro collochiamo la Mission photographique assegnatagli dal governo francese per documentare – ancora una volta – i mutamenti morfologici di un paesaggio in continua evoluzione per mano umana: in Bord de mer (questo il nome del lavoro) ci mostracon pathos reso da un drammatico e tipico bianco e neroscenari desolati, abitati da pochissime figure umane, ma spesso sovraffollati da complesse strutture architettoniche. L’artista ci trasporta in quel preciso contesto culturale e con un’ampia profondità di campo e una nitidezza meticolosa ci permette di percorrere in prima persona quelle strade vuote e scorgere ogni minimo dettaglio, così da trovarci catapultati in una esperienza multisensoriale: vento che soffia e odore del mare o angoscia da spazi ampi e vuoti.

Più maturo è il suo stile nel progetto su Beirut, capitale libanese. Con le composite e preponderanti costruzioni devastate da anni di guerre civili veniamo scossi da un senso di annientamento e rovina. Il pathos è sempre più forte; ha ormai raggiunto il suo massimo livello. La presenza umana è totalmente assente, eppure rimane fortemente evidente nella trasformazione della città, distrutta per mano del suo stesso artefice; una città talmente vuota da poter essere definita metafisica.


Infine, l’ultimo Basilico – che da sé si definiva misuratore di spazi è il Basilico viaggiatore. Il Grand Tour, che realizza in tutto il mondo nel continuo studio dell’evoluzione urbana, segna l’ultima parte della sua vita e tocca Berlino, Rio de Janeiro, Shangai, Istanbul, la Silicon Valley, il Trentino, Mosca, Roma. Volendo approfondire solo quest’ultima, gli scatti sono una sorta di gioco basato sul confronto con le incisioni settecentesche di Giovanni Battista Piranesi, anch’esse drammatiche, quasi claustrofobiche.


Proprio in questi giorni, fino al prossimo 13 aprile, avrebbe dovuto essere in corso la mostra Gabriele Basilico. Metropoli al Palazzo delle Esposizioni di Roma per ricordare un artista che ci ha voluto donare opere da fermare in una memoria che il mondo di oggi, veloce e caotico, tende a ignorare. Ferma a causa dell’emergenza Covid-19, potrete comunque trovare la brochure dell’esposizione su https://www.palazzoesposizioni.it/mostra/gabriele-basilico-metropoli, in attesa di un probabile recupero nei prossimi mesi.


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