di Francesco Salvatore //
È l’inizio del 1986. In Italia sta muovendo i suoi primi passi il maxi-processo contro Cosa Nostra e Silvio Berlusconi ha appena acquistato l’A.C. Milan, mentre tra la Sicilia e l’Africa si snoda la crisi diplomatica tra Italia, Stati Uniti e Libia di Gheddafi, culminata nel lancio di due missili libici (che fortunatamente non raggiungono l’obiettivo) verso una base NATO sull’isola di Lampedusa. A tenere banco tra le notizie dal mondo, tuttavia, c’è un evento di portata epocale: la distensione dei rapporti tra USA e URSS, iniziata sul finire del 1985 con l’incontro di Ginevra.
Il Presidente degli USA Ronald Reagan è più che desideroso di concludere il proprio mandato con un enorme successo diplomatico, così da dimostrare l’efficacia di una politica più aggressiva sul fronte degli armamenti senza arrivare allo scoppio di una guerra nucleare; il segretario generale del Partito Comunista (e quindi Presidente) dell’URSS, Michail Gorbačëv, vorrebbe invece ridurre il consistente budget destinato allo sviluppo bellico, per reinvestirlo in un’economia sovietica da rilanciare con iniziative riformiste (la cosiddetta Perestrojka). I colloqui sono ai loro inizi, quando un altro avvenimento destinato ad avere incalcolabili conseguenze (locali e globali) scuote l’Europa: poco dopo l’una di notte del 26 aprile, una fortissima esplosione scoperchia il reattore n° 4 della centrale nucleare sovietica di Černobyl', generando un grande incendio e la fuoriuscita di un’enorme nube di materiali radioattivi.
Alla miniserie evento Chernobyl, prodotta da HBO e SKY UK, va riconosciuto il merito di aver magistralmente raccontato la sequenza degli eventi che portarono alla fatidica deflagrazione, per poi seguire – dapprima ora per ora, per diluire in seguito la narrazione nel corso dei mesi – tutte le ricadute ambientali, sociali ed economiche del disastro. L’esplosione di Chernobyl travolge l’adiacente città di Pryp''jat' e l’Ucraina settentrionale, ma fa sentire le proprie consistenti conseguenze anche oltre: non solo in Bielorussia (il cui confine è a 18 km) e in Russia (a 150 km circa), ma in tutto il continente europeo. In Italia, ad esempio, la prima reazione ufficiale minimizza l’entità della nube radioattiva, salvo poi sconsigliare il consumo di prodotti come latte e insalata e raccomandare di stare il più possibile all’interno delle proprie case. L’onda lunga del disastro porterà al referendum del 1987 e all’abbandono dell’energia nucleare da parte dell’Italia.
Già prima di quel 26 aprile, però, l’Europa orientale non appare tranquilla. Non è ancora iniziato il segretariato Gorbačëv (datato ’85) quando in Polonia nasce Solidarnosc (“Solidarietà”), un sindacato operaio indipendente dal Partito Comunista (l’unico ad essere legale) e di chiara ispirazione cattolica; d’altronde, la fervente fede del popolo polacco era stata ulteriormente rafforzata dall’elezione di papa Giovanni Paolo II (al secolo Karol Wojtyla, polacco di Wadowice, insediato già nel ’78). Solidarnosc non ha vita facile, ma la sua sola esistenza dimostra che qualcosa sta cambiando. Il disastro nucleare di Chernobyl non fa che testimoniare e confermare la stanchezza e l’inefficacia di un apparato statale, economico e burocratico che risente della stagnazione derivante dal precedente segretariato di Leonid Brèžnev, durato diciotto anni; una folla di operai che scioperano a Danzica e un reattore che esplode nella notte ad alcune migliaia di chilometri di distanza sembrerebbero non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, ma la bellezza della storia risiede anche nel collegamento inaspettato.
Altrettanto imprevedibile è ciò che segue al disastro: gli Stati Uniti si affiancano all’URSS nel contenimento delle scorie radioattive e collaborando sul piano bio-scientifico; si gettano ulteriori fondamenta (che di certo non si potevano prevedere) per i contatti tra le due superpotenze, avvicinando il mondo alla fine della Guerra Fredda. Come il tetto del reattore n°4, però, entro l’inizio degli anni ’90 crollano anche il partito comunista ungherese, il muro di Berlino e infine la compattezza stessa delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che si dissolvono in un gran numero di stati indipendenti. I fatti di Chernobyl non vanno sovrastimati, nell’ottica della caduta dell’URSS, ma sicuramente permettono di raccordare in un’unica visione molti aspetti diversi: il rischio ambientale, la problematica dell’energia, la tragedia dei cittadini locali, gli equilibri interni all’Unione Sovietica… E si potrebbe andare avanti.
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