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Dacia Maraini e il suo Trio - D'amicizia, d'amore, di quarantena

di Francesco Salvatore // «Presentare Dacia Maraini non è facile, perché la vastità dei suoi interessi e della sua produzione rischia di spingerci a fare un mero elenco delle sue pubblicazioni, il che non rende giustizia al valore della persona». Ha davvero ragione Bruna Silvidii, psicologa dell'A.S.L. di Pescara, organizzatrice (insieme all'Associazione Arte Suoni Colori) e moderatrice della presentazione del nuovo libro della Maraini, Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste di Messina, edito da Rizzoli.

L’Auditorium “Palazzo Sirena” di Francavilla al Mare (CH) è lo sfondo di una vera “chiacchierata letteraria” che tocca la psicologia, l’antropologia, la letteratura, la storia del femminismo; tutto questo partendo da una trama veramente semplice: al centro del nuovo romanzo epistolare di Dacia Maraini c’è una coppia di amiche d’infanzia – Annuzza e Agata – innamorate dello stesso uomo, Girolamo, marito di Agata e con lei padre di Mariannina.

Dacia Maraini e Bruna Silvidii - © Arianna Consorte

È evidentemente questo il Trio del libro, che si svolge durante la grande peste siciliana del 1743. L’ambientazione nel periodo dell’Illuminismo è uno dei primi argomenti toccati durante l’evento: «sono anni fondamentali per la nascita della cultura europea in senso moderno» dice la Maraini, che alla narrazione storica è tutt’altro che nuova. L’autrice, in effetti, si era imbattuta in un macabro resoconto sulla peste settecentesca alla fine degli anni ’80, mentre scriveva La lunga vita di Marianna Ucria (per il quale vinse il Premio Campiello nel 1990); ma è il 2020 con la sua pandemia e il periodo di “isolamento” (termine che Dacia si premura di usare al posto dell’anglofono lockdown) a fornire l’occasione di tirare fuori dal cassetto quello spunto, per trasformarlo in qualcosa di compiuto e ricco di rimandi tra il passato e la nostra contemporaneità. Tra questi, per la scrittrice spiccano «il desiderio di trovare un colpevole da accusare e la paura che si trasforma in irrazionalità», comportamenti umani che sembrano non cambiare mai.

L'autrice risponde alle domande del pubblico - © Arianna Consorte

La cornice del 1743, però, non è soltanto un espediente narrativo: la Maraini torna spesso sull’importanza degli ideali dell’Illuminismo e sulla loro capacità di plasmare la società settecentesca, fino a riverberarsi in qualche misura sulle giovani e colte Agata e Annuzza. L’autrice non nasconde quale sia il finale del libro, per cui si ha l’impressione che a contare davvero sia il percorso e non la meta: le due amiche riescono a preservare il prodigioso equilibrio del loro rapporto, così forte e radicato («come una piantina dalle radici lunghissime») da poter accettare l’amore condiviso per Girolamo; evitano così di sacrificare la loro amicizia, vero sostegno psicologico nel corso di un’auto-imposta quarantena in due diversi paesi della Sicilia.

Dacia Maraini e Bruna Silvidii - © Arianna Consorte

La scrittrice è fermamente convinta che questo possa accadere anche al di fuori del mondo letterario: il concetto-chiave è «la sublimazione degli istinti di origine animale che ogni essere umano possiede», in questo caso la gelosia e l’invidia. «Diversamente dall’eros, imprevedibile e passibile di una fine, l’amicizia vera è duratura e si basa sul rispetto, la stima e l’affinità; non chiede all’altro di cambiare, ma gli concede la libertà»: la Maraini su questo è adamantina, come se stesse lanciando un appello ai presenti sulla necessità di non cedere al desiderio di «possedere le persone», né in amore né nell’ambito di un’amicizia. L’idea di possesso, soprattutto quando nella società patriarcale coincide con il concetto di “virilità”, avvelena e danneggia i rapporti di qualunque tipo; la cosa più sconvolgente per l’autrice è la normalità di questa forma mentis almeno fino agli anni ’80, quando istituti come il delitto d’onore o la considerazione dello stupro come “offesa alla morale pubblica” iniziarono finalmente a decadere.

Dacia Maraini affronta questi argomenti con una lucidità e una chiarezza encomiabili, senza annoiare né aggravare l’atmosfera. Intesse rimandi letterari, paragona il suo Girolamo ad un Ulisse inquieto e privo di una piena stabilità emotiva, che resta però amabile e per nulla egoista; cita Dante e Shakespeare e ascolta estasiata i pezzi di Bach suonati dalla violinista Dana Stancu, che accompagna alcuni brani estratti dal libro e interpretati dall’attore Ugo Dragotti. L’ennesimo lungo applauso chiude un pomeriggio di cultura e di riflessione, di quelli davvero necessari in un periodo che sembra tornare a farsi più preoccupante giorno dopo giorno.

La violinista Dana Stancu e l'attore Ugo Dragotti - © Arianna Consorte


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