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Immagine del redattoreAngolo Fotografia

C’era una volta … la Pinhole Camera

Aggiornamento: 13 mag 2020

di Arianna Consorte //


Come tutti gli oggetti di utilizzo comune, anche la fotocamera più moderna dietro di sé nasconde grandi invenzioni di eccelse menti. Vogliamo ora ripercorrere le sue primissime tappe, risalendo agli albori di questo prodotto.

Oggi le fotografie professionali Reflex o Mirrorless presentano un complesso funzionamento, con specifici elementi quali specchio, pentaprisma, otturatore meccanico, diaframma, lenti dell’obiettivo intercambiabile, motore di messa a fuoco, mirino ottico o digitale. Però, per tornare alle origini del suo albero genealogico, dobbiamo decisamente toglierci dalla mente tutti questi dotti termini per focalizzarci soltanto sull’espressione Pinhole Camera o, se la preferite in italiano, foro stenopeico, da cui stenografia.


Esso si basa su una tecnologia semplicissima e al contempo geniale, messa a punto già da Leonardo Da Vinci che aveva ideato una camera prospettica detta ottica: attraverso un piccolo foro stenopeico la luce veniva riflessa all’interno, dove appariva quindi l’immagine capovolta. Nell’utilizzo più moderno, nel corso del XVIII secolo questo fu applicato nella pittura e in particolare nelle vedute panoramiche: paesaggisti come Gaspare Vanvitelli (con la Veduta del Largo di Palazzo a Napoli) e il Canaletto (con Piazza San Marco verso la Basilica)

potevano ridisegnare direttamente il paesaggio su un foglio apposto sul vetro smerigliato della camera, sopra il quale veniva riflessa l’immagine capovolta corretta da uno specchio. Sebbene questo metodo fosse innovativo e offrisse grandi possibilità, presentava anche dei forti difetti: non poteva ovviamente cogliere le varianti atmosferiche né la reale condizione di luce; tendeva poi a sfuocare l’immagine sui bordi e presentava una distorsione prospettica nelle linee convergenti verso il basso. Pertanto, si rendeva necessario l’intervento manuale da parte dell’artista e, a volte, anche la ricostruzione separata di molti edifici utilizzando uno schema geometrico modulare.

Quella del foro stenopeico non può tanto considerarsi un’invenzione quanto piuttosto una scoperta, poiché sfrutta un meccanismo che inconsapevolmente condiziona fortemente la nostra vita: l’occhio umano attraverso la pupilla filtra la luce e l’immagine esterna all’interno, dove poi i neuroni possono elaborarla. Allo stesso modo dell’occhio che strizziamo quando c’è una forte luce battente, un foro stretto permette di introdurre meno luce e di ottenere una maggiore nitidezza e profondità di campo (ovvero con tutti i soggetti a fuoco); al contrario un foro di diametro più ampio percepisce più luce, ma con una minore nitidezza e minore profondità di campo (per cui è possibile mettere a fuoco un solo soggetto).

Approfittando di questo simile “ingranaggio”, anche gli scienziati hanno potuto usufruirne nelle loro sperimentazioni empiriche; Isaac Newton lo impiegò nello studio della scomposizione dei colori della luce solare con il prisma e l’olandese Gemma Frisius nell’osservazione delle eclissi solari totali.


Proseguendo negli anni, Joseph Niépce pose la camera ottica alla base dei suoi studi nel tentativo di sostituire il foglio utilizzato dai pittori (che ripercorrevano manualmente le linee tracciate) con una lastra che fissasse autonomamente l’immagine riflessa, tramite addensanti chimici che reagissero alla luce. La prima fotografia della storia è infatti la Veduta dalla finestra a Le Gras, frutto di una esposizione durata ben otto ore, che per via della sua lunghezza riporta tutto il corso di luci e ombre. In seguito, insieme al collega Louis Daguerre ideò una lastra d’argento che gli permise di brevettare la Daguerrotipia nel 1838, con la quale riscossero un incredibile successo. Il fenomeno della Daguerrotipia si diffuse proprio a cavallo della corrente figurativa dell'Impressionismo, che confermava la reazione dei pittori alla nuova invenzione fotografica. Gli artisti non volevano più limitarsi a copiare la natura per quel che è, ma piuttosto cogliere l’impressione che essa faceva scaturire nell’animo umano. Difatti, Impressionismo in pittura e Simbolismo in letteratura furono le due risposte culturali alla nuova tecnologia.


A mano a mano furono poi inventati i vari elementi della macchina fotografica moderna, che permettevano di intervenire su tempo e luce nella realizzazione dello scatto. Per esempio, il matematico e fisico Petzval risolse il problema delle lunghe esposizioni nei ritratti creando le famose lenti da ritratto Petzval, caratterizzate da una ottima luminosità; il pioniere della fotografia Felix Nadar promosse la fotografia aerea sorvolando Parigi su dei palloni aerostatici, ispirandosi a Jules Verne.

Se siete “Vintage Addicted” e volete riscoprire il funzionamento originale della Pinhole Camera potreste osservare gli esperimenti riportati nel sito http://stenop.es/projects/, oppure cimentarvi voi stessi nella creazione di una camera ottica, oscurando totalmente la vostra stanza, lasciando entrare la luce solo da un piccolo foro e aspettando pazientemente che la vista esteriore si ricrei (ovviamente capovolta) all’interno delle vostre mura.

Insomma, adoriamo le nostre fotocamere complesse e moderne, ma la fotografia delle origini rimarrà comunque una fonte inesauribile di ispirazione per noi e per i posteri; inoltre, può rivelarsi un egregio sistema di studio: perfino la NASA con un nuovo progetto ha pensato di impiegare un foro di dieci metri per una lunghezza focale di duecentomila chilometri nell’osservazione di pianeti simili alla Terra in altri sistemi solari.

Vi proponiamo, infine, alcune foto scattate convertendo in Pinhole Camera la fotocamera analogica Diana F+ prodotta dalla Lomography.



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