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Amore, amanti e... congiure

di Francesco Salvatore //


L’antica Roma si garantì la sua potenza con la guerra, certamente, ma anche grazie ad alleanze e intrighi. In uno di questi interessanti vortici di macchinazioni si ritrovò, suo malgrado, l’imperatore Ottaviano Augusto. Intelligente uomo politico e abile amministratore, dopo la fine delle guerre civili (che lo avevano visto vittorioso contro Marc’Antonio) aveva puntato tutto sul recupero del mos maiorum, la tradizione degli antenati, idealizzata come espressione di una società più semplice e meno corrotta dai lussi. La famiglia di Augusto, però, aveva tutt’altre tendenze; lo gettò presto in una serie di situazioni imbarazzanti, le cui protagoniste furono sua figlia Giulia Maggiore e sua nipote Giulia Minore.

Una cosa va detta: Augusto non dev’essere stato affatto il padre ideale, anzi. Assorbito com’era dalla politica e dal suo progetto di riordinamento dello Stato, finì per utilizzare la figlia Giulia Maggiore alla stregua di un trattato di alleanza col personaggio di spicco del momento. Svetonio ci dice che «allevò la figlia e le nipoti con tanta severità che le abituò anche al lavoro della lana e vietò loro di dire e fare qualunque cosa se non in pubblico, perché tutto potesse essere riportato nelle quotidiane relazioni scritte della casa» (De Vita Caesarum, II 64).


Il classico padre soffocante, viene da pensare. Giulia stessa non era nata sotto i migliori auspici: oltre ad essere del sesso “sbagliato”, sua madre Scribonia era stata ripudiata proprio nel giorno del parto a causa delle scorribande piratesche di suo fratello, alleato scostante di Augusto. Alla tenera età di due anni Giulia fu catapultata nella girandola di promesse matrimoniali; nel corso del tempo sviluppò – probabilmente – risentimento verso il padre, favorito dall’avere un carattere tutt’altro che facile. Lo snobismo che la contraddistingueva, infine, la portò a odiare il terzo marito Agrippa (braccio destro del padre) per via dei suoi umili natali: fu la goccia che fece traboccare un vaso già da tempo pieno e Giulia si ribellò, soprattutto a causa della mentalità conservatrice del padre (che nella vita privata non pareva essere così casto e puro).


Forse per la generale misoginia del mondo romano, storici e letterati latini si lasciano andare a tirate moralistiche durissime contro Giulia: Velleio Patercolo sostiene che «nella sua libidine commise e subì tutte le turpitudini che sono possibili a una donna», in quanto «inquinata dalla lussuria», mentre per Seneca «contava gli amanti a dozzine e di notte si dava alla pazza gioia per le vie della città». La sensazione che si ha – mettendo a confronto tutte queste dichiarazioni – è che nel tempo ci si sia ricamato molto sopra. Su un solo fatto gli storici concordano: l’amante con la “A” maiuscola, il punto di riferimento delle sue molteplici scappatelle (se davvero furono così tante) era Iullo Antonio, figlio di Marc’Antonio (l’acerrimo nemico di Augusto, ormai morto).

Qui si innesta un’interessante ipotesi del grande professore e classicista Lorenzo Braccesi, espressa nel suo libro Giulia, la figlia di Augusto (Laterza, 2014): in sostanza, la ribellione della donna stava lentamente diventando anche politica, per influenza di Iullo. In caso di morte del padre, Giulia avrebbe potuto contare sul controllo dell’Egitto (parte della sua eredità) e sull’alleanza con Cleopatra Selene, regina di Mauritania e sorellastra dell’amante, desiderosa di vendetta per la morte di Marc’Antonio (loro padre). La conferma delle intenzioni omicide starebbe in alcune parole di Plinio il Vecchio:


«[…] adulterium filiae, consilia parricidae palam facta».

«[…] l’adulterio della figlia [Giulia Maggiore], e i suoi propositi scoperti di uccidere il padre [Augusto]». (Naturalis Historia, VII 149)



Se davvero tirava vento di congiura nel delicato momento in cui Giulia aveva ricevuto come quarto marito l’ennesimo uomo con il quale non andava d’accordo (il futuro imperatore Tiberio), si spiegherebbe la mossa risoluta di Augusto, che – pur essendo da molto tempo al corrente di ogni azione della figlia – agì all’improvviso: «fece informare il Senato per mezzo di una comunicazione [d’accusa] che lesse un questore, poi la vergogna a lungo lo tenne lontano da ogni contatto con la gente e pensò perfino di farla uccidere» (Svetonio, De Vita Caesarum, II 65).


L’accusa infamante era di tradimento e adulterio: tanto bastava a metterla fuori gioco. Il cinismo, l’abnegazione verso lo Stato e l’intuito di Ottaviano misero un freno ai loro (eventuali) piani: Iullo fu costretto al suicidio e Giulia confinata dapprima per cinque anni a Ventotene – sorvegliata come in un carcere di massima sicurezza – e poi a Rhegium (Reggio Calabria), dove sarebbe morta svariati anni dopo, forse a causa dello spirito vendicativo dell’ex marito Tiberio (divenuto imperatore), che le tagliò i viveri.


Una vita in balìa del padre, trascorsa a cercare uno spazio di affermazione personale, in qualunque modo potesse.

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