di Francesca Travaglini //
Chi è amante della letteratura fantasy sa quanto il viaggio sia parte fondamentale dei libri: c’è una “quest”, una missione che il nostro eroe o la nostra eroina deve compiere e per fare ciò è sempre contemplato un viaggio. Questo cliché - se così vogliamo definirlo - nasce soprattutto grazie ad Omero, con il lungo viaggio che Odisseo deve compiere per poter tornare finalmente ad Itaca, e si può ritrovare specialmente nella lettura fantasy per i giovani adulti.
Si dice che la persona che parte non è mai la stessa di quando ritorna: il viaggio ti cambia – in positivo o in negativo - e ciò è anche un espediente utilizzato per mostrare la crescita del personaggio, la sua maturazione all’interno della storia e le conoscenze che ha acquisito lungo quel percorso fatto di gioia, di sacrifici, di soddisfazioni e di angoscia.
Nel primo libro vediamo un piccolo Harry prendere per la prima volta il treno per Hogwarts e sappiamo che sarà cresciuto quando sconfiggerà per sempre Voldemort, ma anche quando prenderà il treno per tornare a casa in quello stesso primo anno. Oppure quando Percy Jackson entra nel Campo Mezzosangue e non sarà mai più lo stesso, fino ad incontrare addirittura le divinità greche.
Lo stesso si può dire di Frodo, il quale parte con la sua compagnia e nessuno dei nove compagni sarà lo stesso: Frodo andrà via con Bilbo, Sam si sposerà, Aragorn sarà re, Gandalf da Grigio diverrà Bianco e così via.
Eppure il viaggio può essere anche solo interiore: lo si può vedere soprattutto nei romanzi di formazione, in cui il (o la) protagonista cresce, fa le sue esperienze e matura, pur restando a casa.
Quindi, lasciamo che Harry prenda il suo treno per Hogwarts, che Bilbo e poi Frodo partano per le loro avventure, che Percy entri nel Campo, e accogliamoli a braccia aperte lasciandoci coccolare da quelle pagine che, anche se siamo chiusi in casa, ci permettono di viaggiare insieme a loro.
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