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Ai tempi dell'imbianchino irlandese

Aggiornamento: 20 nov 2020

di Francesco Salvatore //


The Irishman, l’ultimo film di Martin Scorsese (uscito in Italia a novembre 2019; qui il trailer), parte dall’America del secondo dopoguerra e attraversa gli anni Sessanta e Settanta, presentandoci una galleria affollata di personaggi provenienti da mondi molto diversi; nella trama si mescolano capi della malavita statunitense, semplici tirapiedi, sindacalisti e politici di grande spicco come i Kennedy. La trama del film, però, costituisce solo una versione di come potrebbero essersi svolti gli eventi che hanno portato a un celebre crimine mai risolto dalle forze dell’ordine: la scomparsa – e l’omicidio, con ogni probabilità – di Jimmy Hoffa.

Nonostante le riserve di diversi storici, Scorsese decide di affidarsi alle dichiarazioni di Frank Sheeran, l’irlandese del titolo, che in punto di morte (avvenuta nel 2003) avrebbe ammesso di essere stato l’esecutore dell’omicidio Hoffa; la sua storia è stata raccolta dall’avvocato Charles Brandt nel libro I heard you paint houses (2004), che porta il titolo di una frase in codice tipica della mafia, nella quale paint non indica la semplice pittura ma il sangue delle vittime che schizza sulle pareti.

Il film si prende il suo tempo per presentare l’universo storico dei propri personaggi, ma non tutto può essere raccontato sul grande schermo; ciononostante The Irishman rispetta la realtà dei fatti anche sul piano dei dettagli, come per il primo incontro in una stazione di servizio tra Sheeran e Russell Bufalino, potente boss della mafia (detta “mob”). Il personaggio di Hoffa risulta particolarmente interessante perché permette di fare un tuffo nell’America degli anni Sessanta, tra gli scandali che popolavano le prime pagine dei quotidiani.


Jimmy R. Hoffa, di famiglia umilissima, era entrato molto presto nell’International Brotherhood of Teamsters (IBT), un sindacato di autotrasportatori di cui aveva scalato i ranghi pur non avendo mai guidato un autocarro. Oltre che sul carisma, poteva contare su diversi contatti con la mafia di Detroit; un esempio per tutti: l’avvocato della IBT era Bill Bufalino, cugino del sopracitato Russell. In generale, famiglie come i Provenzano, i Genovese e gli stessi Bufalino avevano intensi rapporti con i sindacati dell’epoca; questi ultimi a loro volta erano in lotta gli uni contro gli altri per le fette di ceto operaio da attirare e per conto dei diversi clan mafiosi con cui erano in contatto, talvolta prestando loro soldi rubati dai fondi pensionistici sindacali.

Per combattere contro la corruzione dilagante fu creata la commissione McClellan, il cui uomo di spicco divenne rapidamente Robert F. Kennedy – fratello minore del futuro Presidente degli Stati Uniti – che in pochi anni era riuscito a spostare il mirino dell’FBI e dell’attenzione pubblica dal comunismo alla grave condizione dei sindacati, da lui definita “the enemy within”, il nemico all’interno. Durante un interrogatorio, uno scambio particolarmente duro tra Robert e Hoffa si trasformò nella radice della loro inestinta rivalità personale; già nel 1957 il minore dei Kennedy ottenne l’arresto dell’allora Presidente dell’IBT, che spianò però la strada alla presidenza dello stesso Hoffa. Con l’elezione del fratello (1960), RFK ottenne la nomina a Procuratore Generale degli USA: è questa la premessa necessaria che porta allo scontro serrato tra Jimmy e Robert che si vede nel film, con la formazione di una sorta di task force il cui scopo era Get Hoffa, “beccare Hoffa”.


Non deve sorprendere, quindi, che l’irlandese Frank Sheeran lavorasse tanto per Hoffa quanto per Bufalino & co.: entrambi i loro gruppi – l’IBT da un lato, il mob dall’altro – perpetravano ricatti, omicidi e rapimenti per estendere il proprio potere. The Irishman rende bene l’idea del delicato gioco di equilibri che permetteva la prosperità di questo sistema di delinquenza, nonostante i tentativi dei Kennedy di ostacolarlo. Sarà proprio la bilancia delle alleanze a far cadere Hoffa, dopo due processi (’62 e ’64) e alcuni anni in prigione: graziato nel 1971 dal Presidente degli USA Nixon – che l’IBT aveva sostenuto nel ’60 e supportò di nuovo nel ’72 – ma ormai inviso a molte famiglie del mob e al suo stesso sindacato, Hoffa sparì nel nulla nel ’75. Forse nemmeno il suo cadavere, cremato o sepolto chissà dove, potrebbe dirci se il film di Scorsese è fedele fino in fondo alla realtà dei fatti.

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