di Alice Di Giovanni //
«Esplorando il corpo umano, quante cose che impariamo!» Chi non si ricorda di Siamo fatti così, grazie al quale abbiamo potuto apprendere in modo molto divertente com’è costituito il corpo umano?
Sappiamo che l’unità di base è rappresentata dalla cellula e che l’insieme di più cellule costituisce i tessuti. Più tessuti formano gli organi e organi che hanno funzioni simili compongono gli apparati, fino ad arrivare ad ottenere l’individuo. Tutti i tessuti presenti sono fondamentali per il funzionamento corretto del nostro sistema: tra questi vi è il tessuto connettivo, detto anche tessuto di supporto, poiché fra le sue innumerevoli funzioni troviamo quella di dare supporto strutturale e metabolico ad altri tessuti. Per inquadrare meglio la sua importanza, possiamo dire che fornisce nutrimento e sostanze funzionali al tessuto epiteliale, che è altrimenti sprovvisto di vasi sanguigni. Quindi, se non fosse per la presenza del tessuto connettivo, quello epiteliale non sarebbe dotato delle sue specifiche caratteristiche.
Il connettivo deriva dal mesenchima, ovvero il tessuto embrionale di tipo connettivo. Le cellule che costituiscono questa struttura sono di forma irregolare e solitamente allungate. Esse vengono definite anche pluripotenti, ossia in grado di differenziarsi in qualunque tipo di cellula connettivale. Difatti, le cellule che compongono il connettivo non sono tutte uguali, ma si distinguono in fibroblasti, condroblasti, osteoblasti, mastociti, adipociti, globuli bianchi e macrofagi.
In questo articolo, però, vogliamo soffermarci su uno studio pubblicato di recente, che vede protagonisti i fibroblasti e la loro applicazione in medicina per riparare tessuti senza lasciare cicatrici. Andiamo quindi a vedere perché queste cellule sono così importanti.
I fibroblasti sono innanzitutto gli elementi cellulari più numerosi del tessuto connettivo lasso e hanno il compito di elaborare sostanze quali proteoglicani, glicoproteine ed altri elementi necessari per costituire le fibre collagene ed elastiche. Solitamente, si trovano lungo i fasci di fibre di collagene e qui possono essere riconosciuti dal loro nucleo allungato. In altre sedi, invece, possono presentare anche una forma diversa: ad esempio, possono essere caratterizzati da una forma a stella con diversi prolungamenti.
Il 23 aprile 2021 è stato pubblicato uno studio sui fibroblasti sulla nota rivista scientifica Science condotto da due università americane, l’Università di New York e la celebre Stanford University, e guidato da Shamik Mascharak. Questa ricerca aveva come obiettivo di scoprire come riparare le ferite senza però lasciare cicatrici. È stato visto che è possibile ottenere un risultato simile grazie alla riprogrammazione dei fibroblasti. Per capire meglio su cosa è incentrato l’articolo pubblicato, è bene specificare che per “riprogrammazione” si intende quel processo attraverso cui si effettua un intervento mirato sul programma biologico, quale è il DNA.
Grazie a questa metodica, il team è riuscito a modificare l’attività delle suddette cellule del derma, che è lo strato intermedio dell’epidermide. In che modo hanno operato? Gli studiosi sono riusciti nel loro intento andando a bloccare la produzione di un fattore di trascrizione (FT), che in genere è rappresentato da una proteina che ne regola la trascrizione.
In questo studio, il FT che è stato inibito è conosciuto come Engrailed-1 (En-1) e ha il compito di regolare l’attività delle cellule implicate nel processo di cicatrizzazione, un meccanismo fondamentale e altrettanto complesso che l’organismo stesso mette in atto per bloccare l’emorragia.
Una volta che è stata effettuata la riprogrammazione, andando ad intervenire su En-1, la cellula connettivale presenta una nuova identità, afferma Mascharak, e assume una nuova funzione, quella di poter rigenerare la pelle lesa, ghiandole sudoripare comprese.
Questo studio dà, come spesso accade, uno spiraglio di speranza nella medicina rigenerativa, permettendo di ricostruire tessuti lesi e danneggiati da possibili incidenti.
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