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Dovremmo essere tutti femministi

Aggiornamento: 17 mar 2020

di Elena Rega //


La parola “femminismo” porta con sé un bagaglio culturale molto vasto. Questo movimento progressista nato alla fine dell’Illuminismo viene oggi percepito dalla società come inutile, desueto e sostanzialmente negativo. Solitamente, quando una donna viene definita “femminista”, ce la figuriamo come una persona che: odia gli uomini, non vorrà una famiglia, non si depila, si veste in maniera poco femminile… Potremmo andare avanti ad oltranza. Questi sono solo alcuni degli stereotipi che accompagnano il femminismo e coloro che lo sostengono.


La realtà dei fatti è ben altra: Siamo davvero arrivati alla parità dei sessi? Come viene percepita una donna oggi? Soprattutto, siamo sicuri che il femminismo del XXI secolo non parli anche per gli uomini?


Ad offrirne una definizione originale e soprattutto attuale è la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie nel saggio “Dovremmo essere tutti femministi”, tratto da un discorso tenuto dall’autrice stessa al TEDxEuston Conference nel 2012. Attingendo dalle proprie esperienze personali seguite da riflessioni sull’attualità, Adichie tocca – con uno spiccato senso dell’umorismo – diversi temi scottanti riguardanti il ruolo della donna e dell’uomo e di come vengono riconosciuti ed etichettati nella quotidianità.


«Siamo tutti esseri sociali. Interiorizziamo idee che derivano dalla società in cui siamo inseriti»


La normalità oggi è legata ad un circolo vizioso di strutture sociali che pongono a capo di ruoli dirigenziali una figura maschile. Se solamente gli uomini possono accedere agli organi di potere, ad un certo punto – anche se inconsciamente – ci convinciamo che quella carica possa essere ricoperta esclusivamente da un maschio. A sostegno di questa tesi, Adichie riporta un aneddoto tanto semplice quanto significativo legato alla sua infanzia: non poté accedere al ruolo di capoclasse perché femmina.


Come disse l’attivista keniana e Nobel per la Pace Wangari Maathai: «Più sali e meno donne trovi». Infatti, ai vertici della piramide troviamo sempre – o quasi – un uomo. Da questa citazione l’autrice del saggio passa in rassegna la “legge Lilly Ledbetter” del 2012: solo otto anni fa negli U.S.A. è stato firmato dal presidente Obama un decreto sulla parità di salariato fra donna e uomo che svolgono lo stesso lavoro. Nonostante questo passo tardivo, il mondo è ancora amministrato da uomini, favoriti rispetto alle donne.


Ed è qui che le riflessioni di Adichie si concentrano sugli uomini:


«Facciamo un grave torto ai maschi educandoli come li educhiamo. Soffochiamo la loro umanità. Diamo della virilità una definizione molto ristretta. La virilità è una gabbia piccola e rigida dentro cui rinchiudiamo i maschi».


Se le femmine vengono educate ad essere piacenti ed apprezzate, dall’altro lato ai maschi viene insegnato a temere la vulnerabilità, la debolezza e la stessa paura. È così che il femminismo si occupa anche degli uomini e delle loro fragilità represse e taciute. Tutto ciò si riflette sulle prime esperienze sessuali: la verginità di una donna corrisponde a un pregio, mentre per un uomo significa disattendere delle aspettative. Questo perché siamo fermi sulle definizioni che il nostro genere sessuale di appartenenza prevede senza riflettere sul nostro “Io” più autentico.


Una delle soluzioni che l’autrice ci propone è quella di educare uomini e donne a un mondo in cui possiamo essere fedeli a noi stessi, scevri da ogni pressione sociale, partendo dagli insegnamenti che abbiamo il compito di dare ai nostri figli.


Grazie alle vicende vissute dall’autrice possiamo capire cosa significa essere femminista in una società sessista e legata a certi stereotipi. Ed è per questo che Chimamanda si definisce una «Femminista Felice Africana Che Non Odia Gli Uomini e Che Ama Mettere il Rossetto e i Tacchi Alti Per Sé e Non Per Gli Uomini».


Questo trattato è stato di ispirazione per molte icone del femminismo contemporaneo: gli appassionati di musica riconosceranno nel brano Flawless di Beyoncé alcune parole del saggio; i fan di Emma Watson ricorderanno sicuramente il suo discorso tenuto alle Nazioni Unite e ispirato proprio al libro di Chimamanda.


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