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CAMPOSANTO: il podcast che parla di vita

Aggiornamento: 31 ago 2022

di Marika Tanzi //





Giulia Depentor, la “cercatrice di cimiteri” come lei stessa si definisce, è l’ospite di questa intervista dedicata a Camposanto, il podcast che l’ha resa celebre.

Non è solo un podcast che narra di lapidi, ma soprattutto un bacino inesauribile di storie di vita, che descrive alla perfezione la necessità dell’uomo di adattarsi e fare i conti con la morte. Da Buzzati al cimitero immaginario di Spoon River, la Depentor ci trascina in un immenso archivio storico, intrecciato con la letteratura, il cinema e le arti. Le abbiamo posto qualche domanda in merito:


Intervistatrice: C'è stata un'esperienza particolare che ti ha portata ad approcciarti a questa tematica così peculiare?

Giulia Depentor: Sì e no, nel senso che quando ero piccola, alle elementari circa, ero molto affascinata da tutto quello che era un po’ misterioso, spettrale, ed ero anche appassionata di Piccoli Brividi. Allo stesso tempo era tutto molto normalizzato per me, perché andavo spesso in cimitero con le mie nonne e, mentre ero lì che aspettavo, mi guardavo in giro, leggevo le altre lapidi, mi immaginavo le storie di queste persone: non ero affatto spaventata. Quindi si potrebbe dire che era una passione latente, che è stata ad un certo punto risvegliata da queste prime esplorazioni.

I.: Quale camposanto ti ha colpita di più?

G.D.: È una domanda molto difficile, perché sono sempre colpita da una storia, una lapide, un’usanza. Se dovessi sceglierne uno, direi quello di San Michele in Isola, a Venezia, che si trova vicino alla mia città natale, San Donà di Piave. Questo cimitero è stato uno dei primi che ho visitato; è molto particolare perché sorge su un’isola, ci si arriva in barca, è pluriconfessionale ed essendo in mezzo alla laguna, d’inverno viene invaso da una leggera nebbiolina che rende tutto un po’ più misterioso. Inoltre, dal cimitero si gode di una vista inedita di Venezia, perché pochi turisti visitano quel cimitero, il che lo rende uno scenario privilegiato.

I.: Quale popolo ti ha sorpresa in relazione al modo di affrontare la morte?

G.D.: Sicuramente quelli che mi hanno colpito di più sono stati gli abitanti delle isole Cook, precisamente a Rarotonga: per loro la morte è una dimensione totalmente normale, fa parte della vita, e non rappresenta qualcosa di spaventoso. Difatti non hanno dei veri e propri cimiteri: seppelliscono i morti nei loro giardini. Girare per quest’isola piccolissima, un po’ selvaggia, lussureggiante, è un’esperienza unica, perché vi è un’unica strada che la percorre e si incontrano tombe in ogni dove, anche in riva al mare, decorate con collane di fiori e ornamenti vari. Si percepisce chiaramente l’integrazione della morte in tutti gli aspetti della vita.

I.: Ci sono dei libri che hai scoperto nel corso degli anni e che ti hanno colpita per la maniera in cui trattavano il tema?

G.D.: Se si vuole avere una panoramica completa, c’è una puntata del podcast in cui ne parlo. Un libro letto ultimamente che mi è piaciuto molto si chiama Scusate la polvere (di Paolo Patui, edito nel 2019 da Bottega Errante Edizioni, n.d.r.), in cui l’autore inizia asserendo di non amare i cimiteri, per poi cambiare idea man mano che si trova nella condizione di esplorare questi luoghi – spesso trascinato da altri; così ha modo di scoprire storie meravigliose (e raccontarle).

I.: Nel podcast dichiari di seguire una preparazione meticolosa prima di approcciarti al camposanto da visitare: in cosa consiste?

G.D.: Dipende dal camposanto: se si tratta di un cimitero ancora in uso, avvio una ricerca storiografica e procedo all’individuazione preventiva di eventuali tombe da visitare. Specialmente nel caso di cimiteri famosi, si rischia di girare in tondo senza trovare quello che si sta cercando. Poi quando devo descriverli in Camposanto cerco la storia del cimitero, eventuali descrizioni architettoniche e narrazioni che voglio approfondire. Se invece è abbandonato, la preparazione è più “tecnica”: un cimitero in disuso non si può andare a visitare in modo improvvisato. Prima di partire cerco sempre di mettermi scarpe comode, pantaloni lunghi, oltre a portarmi eventuali strumenti che possano aiutarmi a spostare ostacoli lungo il cammino.

I.: Di tutti quelli che hai visitato, c’è un camposanto in particolare che vorresti come luogo di riposo eterno?

G.D.: Mentre abitavo a Berlino mi è capitato di visitare un cimitero che non ha niente di particolare, non ha tombe famose o storie particolari, però sorge su una penisola (chiamata Stralau) che è una piccola lingua di terra che sporge sullo Sprea, il fiume che attraversa la capitale tedesca. È un cimitero in riva al fiume che gode di un panorama diverso, perché circondato da una parte dall’acqua e dall’altra dal Treptower Park, con la sua ruota panoramica abbandonata. Oppure mi piacerebbe il cimitero di Cavriago, abbandonato, dove al centro vi è un bellissimo albero di noce; penso che i morti di quel camposanto siano fortunati a dimorare in un posto così straordinario.

© Giulia Depentor


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